Portaerei USS Hornet (CV-8) - La Seconda Guerra Mondiale

Hornet (CV-8)

di redazione
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USS Hornet (CV-8)

La USS Hornet (CV-8) fu una portaerei della classe Yorktown della Marina degli Stati Uniti, settima nave a portare questo nome. Entrata in servizio nell’ottobre del 1941, ebbe una breve ma intensa carriera operativa di appena un anno nel corso della Seconda Guerra Mondiale, partecipando ad alcune delle più importanti battaglie della Guerra del Pacifico prima di essere affondata nell’ottobre del 1942.

La costruzione e l’entrata in servizio

La Hornet venne impostata il 25 settembre 1939 nei cantieri Newport News Shipbuilding di Newport News, Virginia, e varata il 14 dicembre 1940, madrina del varo la signora Annie Reid Knox, moglie del Segretario alla Marina Frank M. Knox.

La nave faceva parte della classe Yorktown insieme alle portaerei Enterprise e alla capoclasse Yorktown. Queste erano state progettate sfruttando al massimo le 20.000 tonnellate di dislocamento concesse dai trattati navali di Washington e Londra per le portaerei. Tuttavia, con il precipitare della situazione internazionale e la corsa agli armamenti della fine degli anni ’30, si decise di procedere subito con una terza unità dello stesso tipo, la futura Hornet, seguita a ruota dalla prima portaerei della successiva e più grande classe Essex.

La Hornet entrò in servizio attivo il 20 ottobre 1941 al Norfolk Navy Yard, sotto il comando del capitano Marc A. Mitscher. La nave aveva una lunghezza di 251 metri fuori tutto, un dislocamento a pieno carico di 25.900 tonnellate, ed era spinta da 4 turbine a vapore Parsons alimentate da 9 caldaie Babcock & Wilcox, per una potenza di 120.000 hp che le consentivano di raggiungere una velocità massima di 33 nodi. Trasportava fino a 90 velivoli tra caccia, bombardieri e aerosiluranti. L’armamento comprendeva 8 cannoni antinave da 127 mm, 16 mitragliere contraeree da 28 mm e inizialmente 24 Browning da 12,7 mm, sostituite poi con 32 Oerlikon da 20 mm. La corazzatura era relativamente leggera, con una cintura corazzata spessa 60-100 mm e un ponte di 37 mm.

Prima dell’attacco di Pearl Harbor, la Hornet condusse un periodo di addestramento operando dalle basi della East Coast. Il 2 febbraio 1942 salpò da Norfolk con a bordo due bombardieri medi B-25 Mitchell dell’USAAF: una volta in mare, con sorpresa dell’equipaggio, i velivoli decollarono dalla portaerei. Era un esperimento il cui significato divenne chiaro poco dopo.

Il raid di Doolittle su Tokyo

La Hornet lasciò Norfolk il 4 marzo 1942, transitò per il Canale di Panama e raggiunse la base di Alameda in California il 20 marzo. Qui caricò sul ponte di volo 16 bombardieri B-25 Mitchell al comando del tenente colonnello James H. Doolittle, un pioniere del volo strumentale. Insieme a 70 ufficiali e 64 avieri dell’esercito, i reparti del raid si imbarcarono in gran segreto sulla portaerei.

Il 2 aprile la Hornet salpò con destinazione sconosciuta in compagnia della sua scorta. Alcuni giorni dopo, il capitano Mitscher informò l’equipaggio della missione: effettuare un attacco aereo sul suolo giapponese, il primo dall’inizio della guerra. L’operazione, passata alla storia come “Raid di Doolittle” dal nome del suo comandante, puntava a rialzare il morale americano dopo la debacle di Pearl Harbor e a dimostrare al Giappone che non era al sicuro dagli attacchi nemici.

L’attacco era previsto da 400 miglia nautiche di distanza dalla costa, ma la mattina del 18 aprile la task force fu avvistata da una nave pattuglia giapponese, la Nitto Maru, che venne prontamente affondata dall’incrociatore Nashville. Temendo di aver perso l’effetto sorpresa, Doolittle decise di lanciare subito i B-25 da oltre 600 miglia dalla costa, ben prima del previsto.

Sfidando le avverse condizioni del mare, con onde alte fino a 10 metri che facevano beccheggiare violentemente la portaerei, uno dopo l’altro i 16 bombardieri, pesantemente sovraccarichi di carburante e bombe, riuscirono a decollare dalla Hornet. Dopo aver colpito obiettivi a Tokyo, Yokosuka, Yokohama, Kobe e Nagoya, proseguirono verso la Cina non avendo abbastanza carburante per rientrare sulla portaerei. Nessuno dei velivoli riuscì a raggiungere gli aeroporti designati a causa della partenza anticipata e gli equipaggi dovettero lanciarsi o tentare atterraggi di fortuna in territorio cinese. La maggior parte dei piloti, dopo varie peripezie, riuscì a mettersi in salvo con l’aiuto della popolazione locale e dei guerriglieri cinesi, tranne 3 che furono catturati e giustiziati dai giapponesi.

Sebbene i danni materiali fossero stati modesti, il successo del raid, tenuto segreto per un anno, fu subito sfruttato dalla propaganda americana per aumentare il morale nazionale. Roosevelt si riferì scherzosamente alla misteriosa base da cui erano partiti i bombardieri col nome di “Shangri-La“, la mitica valle dell’eterna giovinezza nel romanzo “Orizzonte Perduto”. Due anni dopo questo nome sarebbe stato assegnato ad una nuova portaerei della classe Essex.

Il raid di Doolittle fu un audace colpo di mano che colse i giapponesi di sorpresa, facendo temere al comando nipponico che le portaerei americane potessero attaccare direttamente il territorio nazionale. Questo accelerò i piani per occupare le isole di Midway, il cui possesso avrebbe consentito di allertare tempestivamente la madrepatria di un eventuale nuovo attacco.

La battaglia delle Midway

Tornata a Pearl Harbor, la Hornet rimase in porto per due settimane facendosi installare nuove armi antiaeree leggere e il radar di scoperta aerea CXAM. Il 28 maggio salpò con la Task Force 16 del contrammiraglio Spruance per posizionarsi a nord est dell’atollo di Midway, dove insieme alla Enterprise ed alla Yorktown avrebbe teso un agguato alla flotta giapponese diretta proprio a conquistare questo caposaldo americano.

La mattina del 4 giugno, con l’avvistamento della flotta nemica, composta da 4 portaerei, 2 navi da battaglia, incrociatori e caccia, le portaerei americane lanciarono i loro velivoli. I bombardieri in picchiata della Hornet però sbagliarono rotta e non individuarono le navi giapponesi. I 15 aerosiluranti del Torpedo Squadron 8 invece attaccarono senza scorta venendo quasi tutti abbattuti dalla contraerea e dai caccia nipponici a prezzo di pesantissime perdite: solo l’eroico guardiamarina George H. Gay, unico superstite, riuscì ad ammarare vicino alle portaerei prima di essere recuperato.

Questi attacchi, per quanto fallimentari e costosi, costrinsero le portaerei giapponesi Akagi, Kaga, Soryu e Hiryu a tenere i ponti sgombri per far decollare e appontare i caccia, ritardando il lancio di un attacco contro le navi americane. Così facendo, si esposero all’attacco degli Dauntless di Enterprise e Yorktown che colpirono le prime tre portaerei mandandole a fondo con le loro squadriglie aeree e centinaia di piloti esperti ancora a bordo.

La quarta portaerei nipponica, la Hiryu, lanciò due ondate di velivoli che danneggiarono gravemente la Yorktown, costretta all’abbandono e poi affondata da un sommergibile. Ma la Hiryu fu a sua volta incendiata dai velivoli della Enterprise e colò a picco il 5 giugno. I velivoli della Hornet, partiti in ritardo, contribuirono ad affondare l’incrociatore pesante Mikuma e a danneggiare gravemente il Mogami.

La battaglia delle Midway fu una svolta decisiva nella guerra del Pacifico. La Marina giapponese perse 4 delle sue migliori portaerei con i loro gruppi aerei e moltissimi piloti esperti, un colpo da cui non si riprese mai completamente, dovendo rinunciare ad attaccare le Hawaii e l’Australia. Midway fu salvaguardata come base avanzata americana per operare nel Pacifico centrale, mostrando come la nascente potenza aeronavale USA poteva battere i giapponesi in una battaglia decisiva.

La campagna di Guadalcanal

Dopo alcune settimane di riposo a Pearl Harbor, il 17 agosto 1942 la Hornet salpò insieme alla Wasp e alla Saratoga per fornire copertura aerea agli sbarchi americani a Guadalcanal e Tulagi, isole meridionali dell’arcipelago delle Salomone contese con i giapponesi. La battaglia si protrasse per mesi sulla terraferma e in mare con pesanti perdite da entrambe le parti.

Con il danneggiamento della Saratoga il 31 agosto e l’affondamento della Wasp il 15 settembre, per oltre un mese la Hornet rimase l’unica portaerei americana operativa nel Pacifico meridionale, dovendo proteggere a tutti i costi i Marines sbarcati a Guadalcanal.

Il 24 ottobre la Hornet si ricongiunse con la appena riparata Enterprise a nord-ovest delle Nuove Ebridi per fronteggiare una potente formazione giapponese comprendente le portaerei Shokaku, Zuiho, le corazzate Kongo e Haruna, 4 incrociatori pesanti e vari caccia, diretta a bombardare l’aeroporto di Guadalcanal e annientare le forze americane sull’isola. Ne scaturì la violenta battaglia aeronavale delle isole Santa Cruz.

La mattina del 26 ottobre, i velivoli delle due portaerei americane attaccarono la flotta giapponese danneggiando gravemente la portaerei Shokaku e l’incrociatore pesante Chikuma. A sua volta, la Hornet fu attaccata da bombardieri in picchiata e aerosiluranti giapponesi decollati dalle portaerei nemiche.

In appena 15 minuti la Hornet fu colpita da tre bombe che appiccarono vasti incendi e da due siluri che allagarono le sale macchine, danneggiando gravemente impianti elettrici e motori. Impossibilitata a far decollare o appontare i suoi velivoli, la portaerei rimase alla deriva, sbandando pericolosamente. Un bombardiere giapponese danneggiato si schiantò deliberatamente sulla fiancata della Hornet causando altri danni e vittime tra l’equipaggio.

L’incrociatore pesante Northampton tentò di prendere a rimorchio la Hornet per allontanarla dal pericolo, ma una nuova ondata di 9 aerosiluranti giapponesi attaccò la portaerei colpendola con un altro siluro che compromise definitivamente la capacità di manovra e il galleggiamento della nave.

Con una formazione navale giapponese che si avvicinava minacciosamente, l’ammiraglio Halsey, comandante della Task Force, fu costretto ad ordinare di abbandonare ed autoaffondare la Hornet per evitare che cadesse in mano al nemico. I cacciatorpediniere di scorta raccolsero i 2060 superstiti della portaerei, che fu colpita da altri siluri e 400 proiettili nel tentativo di mandarla a fondo rapidamente. Tuttavia, la Hornet si rivelò una nave tenacissima e si rifiutò ostinatamente di affondare.

Con l’arrivo dei giapponesi i caccia americani dovettero ritirarsi, lasciando la Hornet alla deriva. I cacciatorpediniere nipponici Makigumo e Akigumo finirono il lavoro lanciando 4 siluri Long Lance. Alle 01:35 del 27 ottobre, dopo un’agonia durata ore, la portaerei si capovolse e affondò di poppa perdendo in totale 140 uomini (di cui 7 a causa dello schianto aereo) su un equipaggio di 2200. Con lei scomparvero anche 21 velivoli rimasti intrappolati nell’hangar allagato.

L’eredità della Hornet

La Hornet fu l’ultima grande portaerei americana affondata in combattimento dal nemico, anche se nei mesi successivi andarono perdute per attacchi aerei o sottomarini una portaerei leggera, la Princeton, e diverse portaerei di scorta di dimensioni inferiori.

Il suo nome fu ereditato meno di un anno dopo da una nuova portaerei della classe Essex, la CV-12, entrata in servizio nel novembre 1943. Questa nave è oggi un museo galleggiante ormeggiato ad Alameda, California, dove onora la memoria dell’equipaggio e delle gesta della Hornet (CV-8).

Il relitto della Hornet (CV-8) è stato localizzato solo nel gennaio 2019 da una spedizione finanziata dal co-fondatore di Microsoft Paul Allen. Attraverso l’uso di veicoli robotici e subacquei, il relitto è stato individuato ad una profondità di oltre 5300 metri al largo delle isole Salomone. La nave giace in assetto di navigazione sul fondo, con parte della poppa staccatasi durante l’affondamento a breve distanza dallo scafo principale.

Pur avendo avuto una carriera operativa di soli 12 mesi prima di soccombere all’attacco giapponese, la Hornet ha svolto un ruolo cruciale attraverso audaci imprese come il raid di Doolittle su Tokyo, la vittoriosa battaglia delle Midway e gli epici scontri aeronavali a difesa di Guadalcanal. In questo modo ha contribuito in maniera decisiva a invertire le sorti della Guerra del Pacifico in favore degli Stati Uniti, scrivendo alcune delle pagine più drammatiche e gloriose della storia della Marina americana.

Il sacrificio della Hornet e del suo valoroso equipaggio non fu vano: dimostrò la potenza delle portaerei americane e la perizia dei loro piloti, in grado di tenere testa alla temibile aviazione imbarcata nipponica. Le lezioni apprese nelle battaglie in cui la Hornet fu protagonista permisero di affinare tattiche e tecniche che si rivelarono decisive per il trionfo finale nel Pacifico.

Nonostante l’affondamento di diverse portaerei nella fase iniziale della guerra, la crescente produzione industriale americana permise alla US Navy di disporre di sempre più numerose portaerei di squadra delle classi Essex e Independence. Queste assunsero il ruolo di capitale ships della flotta sostituendo le corazzate, diventando le regine incontrastate del Pacifico.

Nel 1944-45 le portaerei statunitensi, sempre più potenti e numerose, inflissero pesantissime perdite alla Marina imperiale nella battaglia del Mare delle Filippine, definita “il tiro al tacchino delle Marianne” per la facilità con cui i piloti americani abbatterono quelli giapponesi, ormai a corto di aerei, portaerei e equipaggi esperti.

Dopo questa battaglia, nessuna portaerei americana venne più affondata in combattimento, mentre gli Stati Uniti affondarono tutte le rimanenti portaerei giapponesi. Grazie alla schiacciante superiorità aeronavale, le portaerei americane attaccarono le Filippine, Iwo Jima, Okinawa e infine il Giappone stesso, dove il loro dominio fu tale da operare indisturbate al largo delle coste nipponiche.

Le incursioni dei gruppi imbarcati distrussero ciò che rimaneva dell’aviazione e della flotta giapponese, incluse le ultime grandi navi da guerra come le corazzate Yamato e Musashi. La resa del Giappone nell’agosto 1945 avvenne sulla portaerei Missouri nella baia di Tokyo, sotto l’ombrello protettivo di decine di altre portaerei americane.

Questo trionfo era stato reso possibile anche grazie al contributo di portaerei come la Hornet che, nelle fasi più buie della guerra, si erano sacrificate eroicamente per fermare l’avanzata giapponese, gettando le basi della futura vittoria.

Ancora oggi, a 80 anni di distanza, il relitto della Hornet, silenzioso testimone negli abissi del suo ultimo combattimento, ci ricorda il coraggio dei suoi uomini che lottarono, soffrirono e morirono lontani dalla patria per difendere la libertà. Il loro esempio ispira le nuove generazioni di marinai che sulla nona Hornet, ora una nave museo, si preparano ad affrontare le sfide del futuro, nel solco di una grande tradizione di dedizione e sacrificio.

Informazioni aggiuntive

  • Nazione: USA
  • Tipo nave: Portaerei
  • Classe:Yorktown
  • Cantiere:

    Newport News shipbuilding, Virginia


  • Data impostazione: 25/09/1939
  • Data Varo: 14/12/1940
  • Data entrata in servizio: 20/10/1941
  • Lunghezza m.: 251.3
  • Larghezza m.: 34.7
  • Immersione m.: 8.5
  • Dislocamento t.: 26.000
  • Apparato motore:

    9 caldaie Babcock & Wilcox, 4 turbine meccaniche Westinghouse, 4 assi elica


  • Potenza cav.: 120.000
  • Velocità nodi: 32.5
  • Autonomia miglia: 12.500
  • Armamento:

    8 pezzi da 5″/38 Mark 24 Mod 2 (127 mm) (affusti singoli), 16 pezzi da 1,1″/75 (28 mm) (4 affusti quadrupli), 24 pezzi .50″/90 M2 Browning MG (12,7 mm). 79 aerei, 3 elevatori.


  • Corazzatura:

    ponte hangar: 38 mm, verticale: da 64 a 102 mm


  • Equipaggio: 2.919 ufficiali, marinai e personale di volo compresi
  • Bibliografia – Riferimenti:
      

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