USS Randolph (CV-15): la portaerei riparata in combattimento

USS Randolph (CV-15)

di redazione
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La Randolph il 13 marzo 1945

La USS Randolph (CV-15) è stata una delle 24 portaerei della classe Essex costruite durante la Seconda Guerra Mondiale per la Marina degli Stati Uniti. Entrata in servizio nell’ottobre 1944, partecipò a diverse campagne nel teatro del Pacifico, guadagnandosi tre battle star. Posta in riserva subito dopo la fine della guerra, venne modernizzata e rimessa in servizio nei primi anni ’50 come portaerei d’attacco (CVA) e infine come portaerei antisommergibile (CVS).

Nella sua seconda carriera operò in Atlantico, Mediterraneo e Caraibi. All’inizio degli anni ’60 fu la nave di recupero per due missioni spaziali del Programma Mercury, incluso lo storico primo volo orbitale americano di John Glenn. Fu radiata nel 1969 e demolita nel 1975.

Caratteristiche tecniche

La Randolph apparteneva alla sottoclasse “long hull” delle Essex, che si distingueva per uno scafo allungato di circa 5 metri rispetto alle unità precedenti. Questo consentiva di aumentare lo spazio per hangar, depositi e acqua di alimentazione delle caldaie.

Impostata il 10 maggio 1943 nei cantieri Newport News Shipbuilding and Drydock Company in Virginia, venne varata il 28 giugno 1944 con madrina Rose Gillette, moglie del senatore Guy M. Gillette dell’Iowa. Entrò in servizio il 9 ottobre successivo al comando del capitano Felix Locke Baker.

Con i suoi 271 metri di lunghezza e 45 metri di larghezza massima al ponte di volo, la Randolph dislocava a pieno carico 36.960 tonnellate, spinta da 8 caldaie Babcock & Wilcox che alimentavano 4 turbine a vapore Westinghouse da 150.000 shp, sufficienti per una velocità di 33 nodi. Il gruppo aereo imbarcato comprendeva inizialmente circa 90-100 velivoli tra caccia F6F Hellcat, bombardieri in picchiata SB2C Helldiver e aerosiluranti TBM Avenger. L’armamento antiaereo contava su 12 cannoni da 127 mm, 32 Bofors da 40 mm e 46 mitragliere da 20 mm, in seguito notevolmente potenziato.

Battesimo del fuoco

Dopo l’addestramento iniziale ai Caraibi e il transito del Canale di Panama, il 20 gennaio 1945 la Randolph lasciò San Francisco per raggiungere la base avanzata di Ulithi nelle isole Caroline. Da lì, il 10 febbraio, salpò con le altre portaerei della Task Force 58 del viceammiraglio Marc Mitscher per condurre una serie di attacchi contro le difese giapponesi a Iwo Jima, in preparazione dello sbarco su quest’ultima isola previsto per il 19 febbraio.

Per una settimana i gruppi aerei della Randolph martellarono aeroporti, installazioni e navi nemiche, abbattendo decine di velivoli giapponesi e fornendo copertura aerea alle forze di invasione a terra. Il 20 e 21 febbraio la portaerei lanciò incursioni di supporto diretto allo sbarco su Iwo Jima, contribuendo al successo di quella sanguinosa ma cruciale operazione.

Rientrata a Ulithi per rifornimento a inizio marzo, l’11 marzo la Randolph subì un grave attacco kamikaze mentre era all’ancora. Un bombardiere giapponese Yokosuka P1Y “Frances” si schiantò sul lato di dritta della poppa, appena sotto il ponte di volo. L’impatto e il successivo incendio uccisero 27 uomini e ne ferirono 105. I danni furono così gravi che il comandante della Task Force, ammiraglio Raymond Spruance, valutò inizialmente di dover rimandare la nave sulla costa occidentale degli Stati Uniti per le riparazioni, il che l’avrebbe tenuta fuori dalla battaglia per almeno cinque mesi.

Un record di riparazioni in mare

A quel punto però accadde qualcosa di straordinario. L’ufficiale di catapulta della Randolph convinse il suo comandante e lo stesso Spruance che i danni potevano essere riparati in mare, utilizzando i mezzi della nave officina USS Jason che si trovava nelle vicinanze. Quello che ne seguì fu il più vasto intervento di riparazione navale mai effettuato in mare aperto dalla Marina americana.

Il primo atto fu spostare il motore catapulta della numero 6 a poppa per rimpiazzare il numero 1 distrutto, ripristinando in tempi record la capacità di lancio. Contemporaneamente fu avviata la ricostruzione delle strutture danneggiate o crollate a poppa, che comportò la sostituzione di circa 30 tonnellate di elementi in acciaio prelevati in parte anche da uno zuccherificio giapponese smantellato a Saipan. Ci vollero anche 7.500 assi di legname per riparare il ponte di volo.

Lavorando 24 ore su 24 in condizioni proibitive, con la nave che rullava sull’ancoraggio, i tecnici e gli operai della Randolph e della Jason compirono un autentico miracolo. Per il 1 aprile, data di inizio dell’invasione di Okinawa, le riparazioni erano completate e la portaerei pronta a riprendere il suo posto in prima linea. Come ebbe a dire in seguito il comandante in seconda della Randolph: “Quella decisione di restare in zona per le riparazioni ci permise di concludere la guerra in stato operativo. Non oso immaginare quanto saremmo dovuti stare fermi se fossimo tornati negli Stati Uniti, e la perdita della Randolph in quel momento sarebbe stata un colpo durissimo”.

L’invasione di Okinawa

Il 7 aprile la Randolph si riunì alla Task Force 58 al largo di Okinawa, dove per quasi tre mesi fornì copertura aerea alle forze sbarcate sull’isola. Nonostante i continui attacchi kamikaze, che danneggiarono diverse altre portaerei, la Randolph uscì indenne dalla battaglia e il 29 maggio poté rientrare alle Filippine per un periodo di riposo e manutenzione.

Sfortunatamente, anche durante la sosta non mancarono gli incidenti. Il 7 giugno, mentre era a Leyte per imbarcare rifornimenti, un caccia P-38 Lightning che stava effettuando un’esercitazione di mitragliamento perse il controllo e si schiantò sul ponte della Randolph, uccidendo 13 marinai e distruggendo 10 aerei. Per fortuna i danni furono molto meno gravi dell’attacco kamikaze di marzo e poterono essere riparati in soli quattro giorni.

Attacchi al Giappone

Rientrata in azione a fine giugno con la Terza Flotta dell’ammiraglio Halsey, per le ultime settimane di guerra la Randolph partecipò a una serie di incursioni sulle isole metropolitane giapponesi. Il 10 luglio i suoi gruppi imbarcati colpirono aeroporti e installazioni nell’area di Tokyo, il 14 luglio attaccarono il traffico navale nello stretto di Tsugaru, affondando due importanti navi traghetto. Il 18 luglio contribuirono al bombardamento della corazzata Nagato nella base di Yokosuka e pochi giorni dopo presero parte agli attacchi aeronavali che danneggiarono gravemente la corazzata-portaerei Hyuga nel Mare Interno giapponese.

Le incursioni della Randolph proseguirono fino alla mattina del 15 agosto, quando arrivò la notizia della resa del Giappone. In quell’ultima missione i suoi aerei stavano attaccando l’aeroporto di Kisarazu quando venne dato l’ordine di cessate il fuoco. Secondo le stime dei piloti, nei 35 giorni di operazioni dal 10 luglio al 15 agosto la Randolph aveva contribuito ad affondare o danneggiare tra le 60 e le 70 navi nemiche di vario tonnellaggio.

Con la fine delle ostilità, dopo una sosta in Giappone la portaerei fece rotta verso casa, transitando il Canale di Panama a fine settembre e arrivando a Norfolk il 15 ottobre. Da lì compì alcuni viaggi nel Mediterraneo per rimpatriare le truppe, prima di essere mandata in riserva il 25 febbraio 1948 a Philadelphia.

Una lunga seconda carriera

Nell’ambito della guerra di Corea, nel giugno 1951 la Randolph venne riattivata per essere sottoposta a un profondo ciclo di ammodernamenti SCB-27A. Rientrata in servizio il 1 luglio 1953 come portaerei d’attacco (CVA), nei cinque anni successivi compì diverse crociere in Mediterraneo con la Sesta Flotta, partecipando tra l’altro alle operazioni durante la crisi di Suez dell’ottobre 1956.

Riclassificata come portaerei antisommergibile (CVS) nel marzo 1959, fu quindi assegnata a compiti di lotta antisommergibile in Atlantico. Nell’ottobre 1960 iniziò lavori di modernizzazione SCB-144 che comportarono tra l’altro l’installazione del sonar di prua SQS-23 e l’ammodernamento dei sistemi di combattimento.

Nell’estate del 1962, durante l’ennesimo dispiegamento in Mediterraneo, la Randolph venne richiamata in tutta fretta nei Caraibi per partecipare al blocco navale di Cuba durante la crisi dei missili dell’ottobre 1962. Il 27 ottobre, insieme a 11 cacciatorpediniere, braccò un sottomarino sovietico armato di siluri nucleari costringendolo a riemergere dopo aver lanciato cariche di profondità di avvertimento. Solo la forte determinazione del secondo in comando del battello, Vasily Arkhipov, evitò che la situazione degenerasse in un conflitto atomico.

Tornata alla sua attività di routine, nella prima metà degli anni ’60 la Randolph fu anche la nave di recupero per due missioni spaziali del Programma Mercury. Nel luglio 1961 accolse a bordo l’astronauta Gus Grissom dopo il suo volo suborbitale e nel febbraio 1962 recuperò John Glenn al termine della sua storica missione in orbita, prima di un americano.

La carriera della Randolph si concluse nella seconda metà del decennio. Il 7 agosto 1968, nell’ambito di un vasto programma di riduzione delle spese, il Dipartimento della Difesa annunciò la sua dismissione insieme ad altre 49 unità navali. La portaerei venne quindi radiata il 13 febbraio 1969 dopo quasi 25 anni di onorato servizio e posta in riserva a Philadelphia. Cancellata dal registro navale il 1 giugno 1973, fu venduta per la demolizione nel maggio 1975.

L’eredità

Benché entrata in azione solo nell’ultimo anno della Seconda Guerra Mondiale, la USS Randolph si distinse per alcune caratteristiche uniche che ne fanno una delle portaerei più interessanti della sua classe. In primo luogo, la straordinaria impresa delle riparazioni in mare dopo il grave attacco kamikaze del marzo 1945, che le permise di rientrare in linea in tempo per l’invasione di Okinawa, una delle battaglie decisive della guerra. Un successo reso possibile dalla competenza tecnica e dalla motivazione del suo equipaggio.

In secondo luogo, la lunghezza e la varietà della sua carriera nel dopoguerra, che la vide impegnata su tutti i principali teatri operativi della Marina americana, dal Mediterraneo ai Caraibi. In particolare, la partecipazione alle prime missioni del programma spaziale la pone in una ristretta cerchia di navi che hanno fatto la storia anche in tempo di pace.

Infine, il suo ruolo nella crisi dei missili di Cuba dell’ottobre 1962, quando insieme ad altre unità contribuì ad evitare che un pericoloso incidente con un sottomarino sovietico armato di testate nucleari degenerasse in una guerra globale. Un episodio poco noto ma che avrebbe potuto cambiare il corso della storia.

Oggi della Randolph restano poche memorie tangibili: un’ancora conservata in un parco del New Jersey, un’altra presso una scuola del Tennessee, la bussola al museo del cantiere di Portsmouth. Ma il suo ricordo è ancora vivo nei reduci che ebbero l’onore di servire su questa grande nave e nelle pagine degli storici che ne hanno ricostruito le vicende. Una storia lunga un quarto di secolo, che si intreccia con alcuni dei momenti cruciali del ‘900, dalla seconda guerra mondiale all’alba dell’era spaziale.

Informazioni aggiuntive

  • Nazione: USA
  • Tipo nave: Portaerei
  • Classe:Essex
  • Cantiere:

    Newport News Shipbuilding


  • Data impostazione: 10/05/1943
  • Data Varo: 28/06/1944
  • Data entrata in servizio: 09/10/1944
  • Lunghezza m.: 271
  • Larghezza m.: 28
  • Immersione m.: 8.71
  • Dislocamento t.: 36.960
  • Apparato motore:

    8 caldaie Babcock & Wilcox, 4 turbine a vapore ad ingranaggi Westinghouse, 4 eliche


  • Potenza cav.: 150.000
  • Velocità nodi: 33
  • Autonomia miglia: 14.100
  • Armamento:

    12 cannoni da 127 mm antinave e antiaerei, 32 mitragliere antiaeree da 40mm, 46 mitragliere antiaeree da 40 mm, 90-100 aerei


  • Corazzatura:

    Ponte di volo: 38 mm, Hangar: 64 mm, cintura: 64-102 mm, scafo: 102 mm


  • Equipaggio: 3448
  • Bibliografia – Riferimenti:
     
    • Jane’s Fighting Ships of World War II, Crescent Books ISBN: 0517679639
    • Ingo Bauernfeind U.S. Aircraft Carriers 1939–45  Casemate ISBN: 1612009344
    • USS Randolph website
    • US Navy
     

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