Unryū

di redazione
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Portaerei Unryu

La portaerei Unryū (雲龍, “Drago delle Nuvole”) era la capoclasse della sua omonima serie, questa imponente nave da guerra incarnava i disperati sforzi del Giappone per ricostruire la propria forza aerea navale dopo le devastanti perdite subite nella battaglia delle Midway del giugno 1942.

Entrata in servizio nella metà del 1944, quando le sorti del conflitto nel Pacifico erano ormai segnate, l’Unryū si trovò ad operare in un contesto strategico completamente diverso da quello per cui era stata concepita. La cronica carenza di carburante e la mancanza di piloti navali qualificati limitarono drasticamente il suo impiego, confinandola principalmente nelle acque territoriali giapponesi.

Il destino dell’Unryū si compì nel dicembre 1944, durante quello che sarebbe stato il suo primo e ultimo viaggio operativo verso le Filippine, in un disperato tentativo di rinforzare le guarnigioni giapponesi prima dell’imminente invasione americana di Luzon. Il suo affondamento per mano del sommergibile USS Redfish nel Mar Cinese Orientale segnò non solo la fine di una delle ultime portaerei costruite dal Giappone, ma simboleggiò anche il tramonto definitivo della potenza navale nipponica.

Origine del Programma Unryū

L’Unryū nacque dalla consapevolezza che la Marina Imperiale Giapponese aveva bisogno di un massiccio programma di ricostruzione della propria componente aerea navale. Ordinata inizialmente con la designazione provvisoria #302, la nave faceva parte del Programma di Integrazione Rapida degli Armamenti Navali del 1941, un ambizioso piano che precedette di poco l’attacco a Pearl Harbor.

Il programma prevedeva la costruzione di sedici portaerei della classe Unryū, un numero che testimoniava l’ottimismo iniziale dei pianificatori navali giapponesi. Tuttavia, la realtà industriale e strategica del Giappone in guerra si rivelò ben diversa dalle aspettative: delle sedici unità programmate, solo tre sarebbero state effettivamente completate prima della resa del settembre 1945.

La progettazione della classe Unryū si basava su un’evoluzione migliorata del design della portaerei Hiryū, una delle quattro perdute nella battaglia delle Midway. Ogni unità della classe presentava però dettagli specifici che riflettevano l’evoluzione delle circostanze belliche e la crescente pressione delle risorse industriali giapponesi. L’Unryū, in quanto capoclasse, stabilì gli standard tecnici e operativi che avrebbero caratterizzato l’intera serie.

Progetto e specifiche

Come capoclasse della sua serie, l’Unryū stabilì i parametri dimensionali standard che sarebbero stati replicati nelle sue navi gemelle. Le sue misure principali – 227,35 metri di lunghezza fuori tutto, 22 metri di baglio e 8,73 metri di pescaggio – erano il risultato di un attento bilanciamento tra capacità operativa e vincoli costruttivi. Il dislocamento a pieno carico di 20.450 tonnellate metriche collocava la nave in una categoria intermedia rispetto alle grandi portaerei americane e a quelle più leggere della stessa Marina giapponese.

L’organico di bordo teorico comprendeva 1.595 elementi tra ufficiali e marinai, una cifra che testimoniava la sofisticazione tecnologica raggiunta dalle portaerei moderne. Tuttavia, le crescenti difficoltà di reclutamento e addestramento del personale specializzato resero spesso difficile mantenere al completo questi organici.

Dal punto di vista dell’ingegneria navale, l’Unryū adottava soluzioni consolidate e collaudate. L’apparato motore derivava direttamente da quello dell’incrociatore pesante Suzuya, scelta dettata non solo da considerazioni economiche ma anche dalla necessità di accelerare i tempi di produzione utilizzando componenti già in produzione.

La configurazione propulsiva prevedeva otto caldaie Kampon Tipo B a tubi d’acqua che alimentavano quattro gruppi turbo-riduttori, ciascuno collegato a un asse elica indipendente. La potenza totale sviluppata raggiungeva i 152.000 cavalli vapore, sufficiente a spingere la nave fino a 34 nodi in condizioni ottimali, velocità che permetteva di operare efficacemente con le formazioni da battaglia della flotta.

I serbatoi potevano contenere fino a 3.670 tonnellate metriche di olio combustibile, garantendo teoricamente un raggio d’azione di 8.000 miglia nautiche alla velocità di crociera di 18 nodi. Nella realtà operativa degli ultimi anni di guerra, però, la cronica scarsità di carburante limitava drasticamente l’utilizzo di questa autonomia.

L’aspetto esteriore della nave era caratterizzato dalla presenza di due fumaioli sul lato destro dello scafo, entrambi inclinati verso il basso rispetto all’orizzontale. Questa soluzione, completata da un sistema di raffreddamento ad acqua, mirava a minimizzare le interferenze termiche con le operazioni di volo, dimostrando l’evoluzione raggiunta nella progettazione delle portaerei giapponesi.

Ponte di Volo e Infrastrutture Aeronautiche

Il ponte di volo dell’Unryū misurava 216,9 metri in lunghezza e raggiungeva una larghezza massima di 27 metri, dimensioni che, pur non eguagliando quelle delle contemporanee portaerei statunitensi, risultavano perfettamente adeguate agli standard operativi e alle tipologie di aeromobili in dotazione alla Marina Imperiale.

La caratteristica più evidente della sovrastruttura era costituita dalla piccola isola di comando, strategicamente posizionata sul lato destro nella sezione prodiera. Questo elemento concentrava le funzioni vitali di controllo della nave e delle operazioni aeree, ospitando sia il ponte di comando che la centrale operativa per la gestione del traffico aereo. L’isola era sormontata da un compatto albero a treppiede che fungeva da supporto per uno dei complessi radar di bordo.

La filosofia progettuale prevedeva una disposizione su due livelli per gli hangar, soluzione che massimizzava la capacità di stivaggio degli aeromobili pur mantenendo un profilo relativamente contenuto. Il collegamento tra i due hangar e il ponte di volo era assicurato da una coppia di elevatori quadrati, ciascuno con lato di 14 metri, eliminando deliberatamente l’ascensore centrale presente nel progetto originale della Hiryū per ragioni di semplificazione costruttiva e di resistenza strutturale.

Le prestazioni degli ascensori erano ottimizzate per le esigenze operative: la capacità di sollevamento raggiungeva i 7.000 chilogrammi per unità, mentre il tempo necessario per trasferire un velivolo dall’hangar più basso al ponte di volo era contenuto in 19 secondi, prestazione che garantiva ritmi operativi sostenuti durante le fasi critiche del combattimento.

L’attrezzatura per le operazioni di appontaggio comprendeva un moderno sistema di arresto idraulico Tipo 3, articolato su nove cavi trasversali, integrato da tre barriere d’emergenza della stessa tipologia. Diversamente da alcune marine contemporanee, la progettazione giapponese non prevedeva l’installazione di catapulte per il lancio assistito, affidandosi esclusivamente al decollo libero dalla coperta.

Le operazioni di movimentazione erano facilitate da una gru retrattile installata sul lato destro del ponte, in posizione arretrata rispetto all’ascensore poppiero. I depositi di carburante aviazione potevano contenere fino a 397.340 litri, quantitativo dimensionato per sostenere operazioni prolungate del gruppo aereo imbarcato.

Gruppo Aereo

La composizione del gruppo aereo dell’Unryū subì numerose modifiche durante il periodo di costruzione, riflettendo sia l’evoluzione delle dottrine tattiche giapponesi che la disponibilità effettiva dei diversi tipi di aeromobili. Questa evoluzione continua testimonia le difficoltà crescenti dell’industria aeronautica giapponese nel mantenere i ritmi di produzione necessari.

La configurazione originale prevedeva un gruppo misto composto da 12 caccia Mitsubishi A6M Zero (più tre di riserva), 27 bombardieri in picchiata Aichi D3A “Val” (più tre di riserva) e 18 aerosiluranti Nakajima B5N “Kate” (più due smontati). Tuttavia, gli hangar dell’Unryū non potevano fisicamente ospitare un numero così elevato di aeromobili, rendendo necessario mantenere permanentemente undici velivoli sul ponte di volo.

Nel 1943, con l’evoluzione della situazione bellica e l’introduzione di nuovi tipi di aeromobili, la composizione venne rivista per includere 18 caccia Mitsubishi A7M “Sam” (più due di riserva), 27 bombardieri in picchiata Yokosuka D4Y “Judy” e sei aeromobili da ricognizione Nakajima C6N “Myrt”. Questi ultimi erano destinati a essere mantenuti sul ponte di volo per ragioni di spazio.

Quando la nave entrò finalmente in servizio nel 1944, né gli A7M né i C6N erano ancora disponibili in quantità sufficienti, costringendo a un’ulteriore riconfigurazione. Il gruppo aereo definitivo doveva comprendere 27 Zero, 12 D4Y (di cui tre nella versione da ricognizione) e nove aerosiluranti Nakajima B6N “Jill”.

Tuttavia, la drammatica carenza di piloti navali qualificati, conseguenza delle pesanti perdite subite nei combattimenti precedenti, costrinse l’Ammiragliato a destinare i piloti disponibili alle basi terrestri. Di conseguenza, l’Unryū non imbarcò mai il proprio gruppo aereo completo, una situazione che ridusse drasticamente la sua efficacia operativa.

Protezione e Armamento Difensivo

Il schema di protezione dell’Unryū rispecchiava la dottrina consolidata della Marina Imperiale, basata sulla protezione selettiva delle zone vitali piuttosto che su una corazzatura distribuita. La cintura corazzata principale, posizionata all’altezza della linea di galleggiamento, presentava uno spessore differenziato: 46 millimetri in corrispondenza dei compartimenti macchine e 140 millimetri a protezione delle santabarbare, configurazione che evidenziava la priorità accordata alla sicurezza delle munizioni.

Il ponte corazzato seguiva una logica analoga, con 25 millimetri di spessore sopra l’apparato propulsivo e 56 millimetri sopra i depositi di munizioni. Questi valori, pur non eccezionali nel panorama internazionale, rappresentavano un equilibrio accettabile tra protezione passiva e contenimento del peso strutturale.

L’armamento principale si articolava su dodici cannoni antiaerei da 12,7 centimetri Tipo 89 a 40 calibri, distribuiti in sei installazioni binate posizionate su piattaforme laterali. Questa configurazione costituiva lo standard per le portaerei giapponesi dell’epoca e assicurava una copertura difensiva efficace contro minacce aeree a media e lunga distanza.

La difesa contraerea ravvicinata era affidata inizialmente a 16 gruppi tripli e tre singoli di cannoni automatici da 25 millimetri Tipo 96, concentrati prevalentemente lungo i fianchi dello scafo. Questo armamento era completato da sei lanciatori di razzi antiaerei da 28 colpi ciascuno, arma relativamente innovativa per l’epoca.

L’intensificarsi della minaccia aerea alleata rese necessario un rapido potenziamento: poco dopo il completamento, l’armamento leggero fu incrementato con l’aggiunta di quattro installazioni triple e 13 singole da 25 millimetri, modifica che testimoniava l’evoluzione tattica imposta dal contesto bellico.

La capacità antisommergibile era garantita da sei lanciatori di bombe di profondità, con una dotazione di munizioni compresa tra sei e dieci ordigni. La scoperta delle minacce subacquee era affidata a un sonar Tipo 3 e a un idrofono Tipo 93, equipaggiamenti che rappresentavano lo stato dell’arte della tecnologia giapponese in questo settore.

Controllo di tiro e Guerra Elettronica

L’efficacia dell’armamento era potenziata da sofisticati sistemi di controllo del tiro. Due direttori Tipo 94 ad alto angolo, uno per ogni lato della nave, coordinavano l’azione dei cannoni principali da 12,7 centimetri. Ogni direttore integrava un telemetro da 4,5 metri, strumento indispensabile per il calcolo delle soluzioni di tiro contro bersagli aerei in rapido movimento.

La gestione dell’armamento leggero e dei lanciatori di razzi era demandata a sei direttori Tipo 95, distribuzione che consentiva un controllo decentralizzato ma coordinato del fuoco difensivo durante gli attacchi multipli.

L’apparato radar rappresentava uno degli aspetti più avanzati dell’Unryū, testimoniando i progressi compiuti dal Giappone nel campo della guerra elettronica. Due radar di ricerca Tipo 2, Mark 2, Modello 1 costituivano la spina dorsale del sistema di rilevamento: uno permanentemente installato sulla sommità dell’isola di comando, l’altro retrattile e posizionato sul lato sinistro del ponte di volo, nell’area compresa tra i due ascensori.

Il sistema era completato da due radar di allarme rapido Tipo 3, Mark 1, Modello 3, uno montato sull’albero a treppiede dell’isola e l’altro sull’albero radio retrattile poppiero di dritta. Questa configurazione quadrupla garantiva una copertura radar completa a 360 gradi, capacità essenziale per la sopravvivenza in un teatro operativo dominato dall’aviazione nemica.

Costruzione ed entrata in servizio

La costruzione dell’Unryū iniziò presso l’Arsenale Navale di Yokosuka il 1° agosto 1942, in un periodo in cui il Giappone manteneva ancora l’iniziativa strategica nel Pacifico. Il varo avvenne il 25 settembre 1943, mentre l’entrata in servizio si ebbe il 6 agosto 1944, date che riflettevano i tempi di costruzione relativamente rapidi per gli standard giapponesi dell’epoca.

Al momento della commissione, l’Unryū fu assegnata alla 3ª Flotta, una delle principali formazioni operative della Marina Imperiale. I primi mesi di servizio furono dedicati alle prove e all’addestramento all’interno della Baia di Tokyo, periodo che si protrasse fino a metà settembre 1944.

Successivamente, la nave fu trasferita al Distretto Navale di Kure, da dove condusse numerose missioni di addestramento nel Mare Interno di Seto fino a dicembre. Questo periodo di attività intensiva era necessario per addestrare l’equipaggio e testare i sistemi della nave, ma era anche limitato dalla crescente scarsità di carburante che affliggeva la Marina giapponese.

Dal 30 ottobre al 7 novembre 1944, l’Unryū servì brevemente come nave ammiraglia del Vice Ammiraglio Jisaburo Ozawa, comandante della Flotta Mobile. Questo periodo rappresentò probabilmente il momento di maggior prestigio nella breve carriera della portaerei, ma durò solo otto giorni prima che la Flotta Mobile venisse sciolta e la nave trasferita alla 1ª Divisione Portaerei.

Verso la fine di novembre 1944, l’Unryū imbarcò finalmente alcuni aeromobili A6M e B6N, ma non il gruppo aereo completo. Questa situazione rifletteva la drammatica carenza di piloti qualificati e la decisione strategica di concentrare l’aviazione navale superstite nelle basi terrestri per la difesa del territorio metropolitano giapponese.

La Portaerei Unryu fotografata dal sommergibile Redfish mentre affonda
La Portaerei Unryu fotografata dal sommergibile Redfish mentre affonda

Impiego operativo

Il destino dell’Unryū si compì nel dicembre 1944, quando la Marina Imperiale ordinò alla portaerei di intraprendere quello che sarebbe stato il suo primo e ultimo viaggio operativo. L’imminente invasione americana delle Filippine, specificamente dell’isola di Luzon, spinse il comando giapponese a tentare un disperato rinforzo delle guarnigioni locali.

Il 13 dicembre 1944, trenta velivoli kamikaze Yokosuka MXY7 Ohka furono caricati a bordo dell’Unryū per il trasporto a Manila. Questi ordigni volanti, progettati per attacchi suicidi contro le navi alleate, rappresentavano una delle ultime speranze tattiche giapponesi per infliggere perdite significative alle forze di invasione americane.

Il 17 dicembre 1944, l’Unryū salpò da Kure sotto il comando del Capitano Konishi, scortata dai cacciatorpediniere Shigure, Hinoki e Momi. La scelta di questa scorta relativamente leggera rifletteva sia la scarsità di unità navali disponibili che la necessità di mantenere la velocità elevata per evitare l’intercettazione nemica.

La missione rappresentava un tentativo disperato di rinforzare la guarnigione di Luzon prima degli sbarchi alleati, ma si svolgeva in un contesto strategico ormai compromesso. I sottomarini americani pattugliavano sistematicamente le rotte marittime giapponesi, mentre l’aviazione alleata dominava incontrastata i cieli del Pacifico occidentale.

Il 19 dicembre 1944, appena due giorni dopo la partenza da Kure, l’Unryū incontrò il suo destino nelle acque del Mar Cinese Orientale. Il sommergibile americano USS Redfish, comandato dal Capitano di Corvetta Louis D. McGregor, aveva individuato il gruppo navale giapponese e si era posizionato per l’attacco.

Alle 16:35, il Redfish lanciò quattro siluri contro la portaerei giapponese. Il primo siluro colpì l’Unryū direttamente sotto il ponte di comando sul lato destro, causando danni devastanti che fermarono immediatamente la nave. L’esplosione tranciò la linea principale del vapore, allagò due locali caldaie, innescò diversi incendi e causò un’inclinazione di 3 gradi.

Mentre l’equipaggio tentava disperatamente di controllare i danni e ripristinare la propulsione, alle 16:50 un secondo siluro colpì la portaerei sul lato destro all’altezza dell’ascensore anteriore. Questo secondo impatto raggiunse i serbatoi di carburante avio altamente volatili situati nella parte anteriore della nave, scatenando un’esplosione catastrofica.

La deflagrazione del carburante avio causò la detonazione delle testate degli Ohka stivati nell’hangar inferiore, creando una reazione a catena esplosiva che letteralmente asportò la prua della nave. L’Unryū si inclinò rapidamente a 30 gradi, costringendo il comandante a ordinare l’abbandono immediato della nave.

Con un’inclinazione di 90 gradi, la portaerei affondò di prua sul fondo del Mar Cinese Orientale in soli sette minuti, nella posizione 29°59′N 124°03′E. La rapidità dell’affondamento rese impossibile ogni tentativo di salvataggio organizzato, trasformando quella che doveva essere una missione di rinforzo in una tragedia di proporzioni enormi.

Le conseguenze umane dell’affondamento dell’Unryū furono devastanti. Delle 1.595 persone a bordo, che includevano l’equipaggio della nave, personale tecnico e passeggeri diretti nelle Filippine, solo 145 uomini sopravvissero al disastro. Il bilancio finale registrò 1.238 vittime tra ufficiali, marinai e passeggeri, una delle perdite più gravi subite dalla Marina Imperiale Giapponese in un singolo affondamento.

I sopravvissuti furono raccolti dal cacciatorpediniere Shigure, unica unità di scorta riuscita a raggiungere tempestivamente il luogo del disastro. La nave di salvataggio fece ritorno a Sasebo il 22 dicembre, portando con sé i drammatici resoconti della tragedia e la conferma della perdita di una delle ultime portaerei operative della Marina giapponese.

La rapidità dell’affondamento, causata dalla combinazione letale tra l’esplosione del carburante avio e la detonazione degli ordigni Ōhka, rese impossibile ogni tentativo di evacuazione organizzata. Molti membri dell’equipaggio rimasero intrappolati negli hangar inferiori o nei compartimenti macchine allagati, mentre altri furono uccisi dalle esplosioni secondarie che devastarono la nave.

L’Unryū fu ufficialmente radiata il 20 febbraio 1945, segnando formalmente la fine di una delle carriere operative più brevi e tragiche nella storia delle portaerei giapponesi.

Informazioni aggiuntive

  • Nazione: Giappone
  • Tipo nave: Portaerei
  • Classe:Unryū
  • Cantiere:

    Arsenale di Yokosuka


  • Data impostazione: 01/08/1942
  • Data Varo: 25/09/1943
  • Data entrata in servizio: 06/08/1944
  • Lunghezza m.: 226
  • Larghezza m.: 21.93
  • Immersione m.: 7.82
  • Dislocamento t.: 20.450
  • Apparato motore:

    4 gruppi di turbine, 8 caldaie Kampon, 4 eliche


  • Potenza cav.: 152.000
  • Velocità nodi: 34
  • Autonomia miglia: 8000
  • Armamento:

    51 cannoni Type 96 da 25mm, 12 cannoni Type 89 da 127 mm  DP in postazioni binate, 6 lanciarazzi antiaerei da 210mm, 57 aerei + 8 di riserva


  • Corazzatura:

    Cintura: 48-140mm, Ponte: 25-56mm


  • Equipaggio: 1.595
  • Bibliografia – Riferimenti:
     
    • Jane’s Fighting Ships of World War II, Crescent Books ISBN: 0517679639
    • Gino Galuppini, La portaerei: storia tecnica e immagini dalle origini alla portaerei atomica, Roma, Arnoldo Mondadori Editore, 1979
    • Combined Fleet
    • Naval Encyclopedia
     

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