Charles Butler McVay III, lo sfortunato comandante dell'Indianapolis

Charles Butler McVay III

di redazione
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Nato in Pennsylvania, il 30 luglio 1898, Charles Butler McVay III era figlio dell’ammiraglio Charles Butler McVay Jr., comandante in capo della flotta americana in Asia nei primi anni trenta.
Diplomatosi all’accademia di Annapolis con la classe del 1920, McVay fece parte del gabinetto congiunto delle forze armate a Washington, il luogo in si concentrava il meglio dell’intelligenza dello spionaggio della Marina, dell’esercito, dell’aeronautica e del corpo dei Marines. Prima di assumere il comando dell’incrociatore Indianapolis nel novembre del 1944 venne decorato con la Silver Star per il coraggio dimostrato sotto il fuoco nemico.

McVay condusse la nave al suo comando nelle missioni di attacco a Iwo Jima e nel bombardamento di Okinawa, nella primavera del 1945. Nel corso di questi combattimenti la la Indianapolis con le sue artiglierie abbatté 7 aerei giapponesi prima di essere colpita da un aereo kamikaze che il 31 marzo causò seri danni alla nave provocando la morte di 13 membri dell’equipaggio, in seguito all’attacco l’incrociatore rientrò in California per le necessarie riparazioni.

Successivamente, nel corso dello stesso anno, la Indianapolis ricevette l’importante incarico di trasportare due scienziati, l’uranio e parti essenziali della prima bomba atomica da San Francisco a Tinian, in seguito l’ordigno, denominato Little Boy, venne sganciato sulla città giapponese di Hiroshima.
La nave percorse la distanza tra San Francisco e Pearl Harbour nel tempo record di 74 ore e mezze, a una velocità media di 29 nodi (54 Km/h), primato tutt’ora imbattuto. Portata a termine la segretissima missione la nave fu inviata a Leyte dove avrebbe dovuto ricongiungersi con la Task Force 95 al comando del vice ammiraglio Jesse Oldendorf.

Alle 00:15 del 30 luglio l’incrociatore Indianapolis venne colpito da due siluri, il sommergibile giapponese I-58 agli ordini del comandante Mochitsura Hashimoto aveva lanciato una salva di sei siluri di cui due erano andati a segno. Il comandante giapponese credeva di aver colpito la corazzata Idaho della classe New Mexico ma ad ogni modo le due armi andate al segno infersero danni che si rivelarono immediatamente gravissimi: l’impianto elettrico saltò e la nave si inclinò immediatamente di 15 gradi per capovolgersi ed affondare in circa dodici minuti.

Dei 1.196 uomini di equipaggio circa 300 perirono subito e affondarono insieme alla nave mentre gli altri rimasero in mare con un numero insufficiente di giubbotti di salvataggio, galleggianti e scialuppe. Dopo che la nave era stata colpita il comandante, resosi immediatamente conto della gravità del danno, diede tempestivamente l’ordine di abbandonare la nave e un segnale di soccorso venne inviato e ricevuto da almeno tre apparati di ricezione statunitensi. Purtroppo nessuna delle tre stazioni riceventi riportò il segnale di SOS, in un caso perchè il capo della stazione era ubriaco, in un altro perchè il comandante aveva dato l’ordine di non essere disturbato e nella terza perchè il segnale venne erroneamente interpretato come un falso messaggio inviato dai Giapponesi. Razzi di segnalazione inviati dai naufraghi nei canotti vennero avvistati da un C-54 in volo nella zona ma il rapporto del pilota non ebbe seguito.

Dopo quattro giorni, circa 100 ore in mare, molti uomini erano morti, soprattutto in seguito alle ferite riportate ma anche a causa degli stenti, della disidratazione e degli attacchi degli squali, al termine delle operazioni di soccorso soltanto 316 uomini erano sopravvissuti, tra questi c’era il comandante McVay, ferito.

Il processo

Nel corso di tutta la Seconda Guerra Mondiale circa 400 navi americane furono affondante in combattimento, il comandante McVay fu l’unico ad essere sottoposto alla corte marziale che nel 1945 lo condannò per aver messo in pericolo la nave ed il suo equipaggio procedendo in acque pericolose senza zigzagare.
Il processo si dimostrò come una caccia al capro espiatorio e il comandante McVay era perfetto in questo ruolo; l’affondamento dell’Indianapolis causò infatti un grande shock nell’opinione pubblica americana, sia per il numero dei marinai caduti (solo la perdita dell’Arizona affondata a Perl Harbour causò un numero di morti maggiore) sia per il fatto che nel luglio del 1945 la guerra sembrava ormai finita ed era difficile rassegnarsi alla morte di tanti uomini, in circostanze tanto tragiche, senza trovare un colpevole.

Nel corso del processo il comandante McVay a sua difesa portò numerosi elementi concreti: in primo luogo lui aveva espressamente richiesto una scorta di caccia dato che l’Indianapolis era privo di dispositivi di individuazione di sommergibili nemici e questa richiesta era stata respinta. In secondo luogo l’ammiragliato sapeva che lungo la rotta potevano esserci sottomarini giapponesi dato che, solo 24 ore prima, il caccia di scorta Underhill era stato affondato ma McVay non ne era stato informato. Infine l’accusa stessa di aver omesso di zigzagare era priva di fondamento dato che in quelle condizioni e con quella visibilità non avrebbe fatto alcuna differenza e avrebbe anzi rallentato la nave. Il comandate Hashimoto venne chiamato a testimoniare al processo; l’ufficiale giapponese temeva di essere lui l’accusato ma quando venne interrogato confermò che se l’Indianapolis invece che in linea retta avesse proceduto zigzagando la cosa non avrebbe fatto alcuna differenza.
McVay chiese più volte alla corte marziale per quale motivo furono necessari ben cinque giorni prima di riceve dei soccorsi ma la sua domanda non ebbe risposta.

 

Secondo una teoria un po’ cospirazionista la corte marziale fu chiesta dall’ammiraglio King che voleva vendicarsi del padre di McVay che decenni prima lo aveva punito quando era sotto il suo comando. E’ una teoria molto poco credibile anche in virtù del fatto che tra McVay padre e figlio i rapporti erano pessimi.

McVay lasciò la marina nel 1949 con il grado di contrammiraglio, gli anni seguenti per lui furono molto difficili sia a causa della pressione da parte dell’opinione pubblica (in particolare di una associazione di parenti delle vittime dell’affondamento dell’Indianapolis) sia per tragedie personali; in seguito alla morte della moglie, deceduta dopo aver contratto il cancro, l’ex ufficiale cadde in depressione e si suicidò, sparandosi con la pistola d’ordinanza, il 6 novembre del 1968.

Fu solo nell’ottobre del 2000 che il Congresso degli Stati Uniti, con un documento firmato dal presidente Clinton, scagionò il comandante dell’Indianapolis da tutte le accuse; la riabilitazione di McVay fu ottenuta anche grazie alle insistenze del figlio e dell’associazione dei sopravvissuti al naufragio, i superstiti infatti non avevano mai smesso di dimostrare solidarietà al loro ex-comandante cui ritenevano di non avere nulla da rimproverare.

Informazioni aggiuntive

  • Data di nascita: 27 Giugno 1891
  • Data di morte: 5 Novembre 1968
  • Paese: Stati Uniti
  • Forza Armata: Marina
  • Grado: Contrammiraglio 

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3 commenti

Francesco Vitrano 28 Giugno 2018 - 10:01

Riposa in Pace, comandante Charlie B. McVay

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sandro 14 Ottobre 2019 - 19:52

marina americana una vergogna inaudita

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Tiziano 20 Gennaio 2020 - 5:03

C’è sempre la Nostra Marina,che non ha NIENTE da invidiare:Taranto, Punta Stilo,Matapan,Teulada,Mezzo Giugno, perfino all’Asinara,con una remota possibilità di essere colpiti,è successo. (Legge di Murphy).

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