Il carro armato celere sahariano, noto anche con la denominazione non ufficiale di M16/43, rappresenta uno dei progetti più ambiziosi e al contempo sfortunati dell’industria bellica italiana durante la Seconda Guerra Mondiale. Concepito come risposta ai veloci carri incrociatori britannici incontrati nel deserto nordafricano, questo mezzo corazzato avrebbe dovuto dotare il Regio Esercito di un veicolo capace di competere ad armi pari con i blindati nemici. Lo sviluppo, tuttavia, fu lungo e travagliato: quando il prototipo fu finalmente pronto, nei primi mesi del 1943, la campagna d’Africa era ormai perduta. Il carro celere sahariano non ebbe mai occasione di essere impiegato in combattimento e, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, il suo unico esemplare andò perduto.
Progetto e sviluppo
Il fronte nordafricano si aprì nel giugno 1940 con l’entrata in guerra dell’Italia. Le forze italiane di stanza in Libia, dopo una modesta avanzata in territorio egiziano, si attestarono in posizione difensiva. Tra il dicembre 1940 e il febbraio 1941, la Desert Force britannica lanciò una devastante controffensiva che travolse le posizioni italiane, penetrando in profondità nel territorio libico grazie alla superiorità della propria componente corazzata.
In particolare, i carri incrociatori britannici Cruiser Mk II e Cruiser Mk III si dimostrarono nettamente superiori ai blindati italiani dell’epoca, grazie alla maggiore velocità e al migliore armamento. Questa superiorità non sfuggì ai vertici del Regio Esercito, che prima della fine del 1940 ordinarono lo sviluppo di un carro armato similare: un mezzo veloce, ragionevolmente armato, non eccessivamente corazzato ma soprattutto caratterizzato da un profilo basso e sfuggente.
Durante le prime fasi delle ostilità in Nordafrica, gli italiani ebbero modo di esaminare alcuni carri incrociatori britannici messi fuori combattimento. Secondo le fonti dell’epoca, fu inoltre catturato un esemplare pressoché intatto, indicato genericamente come “carro Christie”. L’identificazione precisa di questo veicolo è controversa: alcune fonti indicano il Cruiser Mk VI Crusader, altre il Cruiser Mk III. Quest’ultima ipotesi appare più probabile, poiché il Crusader fece il suo esordio operativo nel deserto soltanto con l’operazione Battleaxe nel giugno 1941, quando i lavori sul carro italiano erano già avviati.
L’incarico di sviluppare il nuovo “carro armato celere sahariano” fu affidato all’Ansaldo. Il reparto tecnico dell’azienda avviò i lavori all’inizio del 1941, utilizzando come base uno dei prototipi dell’M14/41. Su questo scafo in acciaio fu montata una sovrastruttura sperimentale in legno, con pareti inclinate e una torretta più affusolata rispetto a quella originale. Questo primo tentativo non ottenne l’approvazione dello Stato Maggiore dell’Esercito; i progettisti dell’Ansaldo decisero quindi di ispirarsi più direttamente alla meccanica britannica, adottando grandi ruote portanti sostenute da sospensioni di tipo Christie.
Alcune fonti suggeriscono che, oltre all’influenza dei carri britannici, nel progetto sia rintracciabile anche un’ispirazione derivata dai carri veloci sovietici della serie BT, che le forze armate italiane avevano avuto modo di osservare durante la guerra civile spagnola.
Il prototipo del carro celere fu sottoposto a collaudi in un periodo non precisamente documentato. Durante le prove, il veicolo raggiunse i 60 km/h su strada preparata, una prestazione notevole resa possibile dalle efficienti sospensioni Christie e dall’apparato motore più potente rispetto a quello dell’M14. Su terreno naturale la velocità scendeva a 35-40 km/h, comunque superiore alle prestazioni dei mezzi allora in dotazione alle divisioni corazzate italiane.
La denominazione ufficiale del veicolo era “carro armato celere sahariano”, ma nel corso dello sviluppo fu affiancata da altre denominazioni non canoniche: “carro armato Fiat-Ansaldo sahariano”, “carro celere Fiat-Ansaldo M-16/43 sahariano” e, più semplicemente, “M16/43”. Quest’ultima sigla, sebbene impropria, è quella che si è maggiormente diffusa nella letteratura storica, in quanto coerente con la nomenclatura degli altri carri medi italiani del periodo.
L’affinamento del progetto proseguì negli anni successivi, ostacolato da numerosi problemi. La questione più spinosa riguardava la scelta del motore: furono testati diversi propulsori, inclusi alcuni di derivazione aeronautica, senza mai giungere a una decisione definitiva. Il carro celere sahariano nella sua forma finale fu pronto soltanto nei primi mesi del 1943, troppo tardi per poter avere qualsiasi utilità operativa. A gennaio 1943 Tripoli era già caduta in mano all’8ª Armata britannica e in maggio le ultime forze dell’Asse in Tunisia si arresero.
Caratteristiche tecniche
Dimensioni e peso
Il carro armato celere sahariano si distingueva dai precedenti mezzi corazzati italiani per il profilo particolarmente ribassato. Il veicolo era lungo 5,80 metri, largo 2,80 metri e alto soltanto 2 metri, circa 40 centimetri in meno rispetto agli altri carri armati medi italiani dell’epoca. Questa caratteristica, ispirata ai carri incrociatori britannici, aveva lo scopo di ridurre la silhouette del mezzo e renderlo un bersaglio più difficile da colpire.
Il peso a vuoto era di 14 tonnellate, che salivano a 15 tonnellate in ordine di combattimento. Una fonte riporta un peso generico di 18 tonnellate, probabilmente riferito a una configurazione diversa o a una stima approssimativa.
Equipaggio e disposizione interna
L’equipaggio era composto da quattro uomini. Il pilota era seduto nello scafo, sul lato sinistro, e disponeva di un portello ribaltabile per facilitare la visione durante la marcia. Nella torretta, caratterizzata da una pianta ennagonale e sprovvista di cupola per il comandante, trovavano posto gli altri tre membri dell’equipaggio: il comandante, il cannoniere e il servente. L’accesso al veicolo avveniva attraverso un portello a due ante ricavato sul cielo della torretta.
Apparato motore
Il carro celere sahariano era spinto da un motore FIAT-SPA 228, un 8 cilindri a V alimentato a benzina con una cilindrata di 11.300 cm³. La potenza erogata è riportata in modo discordante dalle fonti: alcune indicano 250 hp, altre 275 hp. Questa incertezza è probabilmente dovuta al fatto che il veicolo rimase allo stadio di prototipo e che furono testati diversi apparati motore nel corso dello sviluppo.
In ordine di combattimento, con un peso di 15 tonnellate, il rapporto potenza-peso si attestava intorno a 18,3 hp/t (calcolato sulla potenza di 275 hp), un valore decisamente superiore a quello dei carri medi italiani contemporanei. L’ispezione del propulsore era possibile grazie a due portelli ricavati sul pianale posteriore dello scafo.
Anche le prestazioni velocistiche sono riportate in modo non univoco. Durante i collaudi il prototipo raggiunse i 60 km/h su strada, mentre alcune fonti indicano una velocità massima teorica di 70-71 km/h. Su terreno naturale la velocità scendeva a 35-40 km/h. L’autonomia era di circa 300 chilometri, sebbene non sia nota la capacità del serbatoio.
Trasmissione e sospensioni
L’albero motore era collegato alla trasmissione e al cambio, entrambi posizionati posteriormente. I progettisti italiani mantennero infatti la trazione posteriore tipica dei carri britannici dai quali avevano tratto ispirazione.
Le sospensioni costituivano uno degli elementi più innovativi del progetto. Derivate dal sistema Christie, prevedevano quattro grandi ruote portanti per lato. Tuttavia, rispetto all’originale brevetto dell’ingegner Christie (che utilizzava grandi molle elicoidali con bracci snodati), i progettisti italiani adottarono una soluzione diversa: le ruote portanti erano accoppiate a due a due e asservite a barre di torsione. Il treno di rotolamento era completato da due ruotini reggicingolo superiori per lato e da una ruota di rinvio folle anteriore.
Armamento
L’armamento principale era costituito dal cannone Mod. 1938 da 47 mm con canna lunga 40 calibri (47/40), montato in torretta. Si trattava dello stesso pezzo già impiegato sull’M15/42, capace di prestazioni balistiche adeguate per l’epoca ma già considerate insufficienti dallo Stato Maggiore dell’Esercito.
L’armamento secondario comprendeva due mitragliatrici Breda Mod. 38 da 8 mm: una coassiale al cannone e l’altra installata sul tetto della torretta per il tiro contraereo.
Lo Stato Maggiore considerava il cannone da 47 mm come una soluzione provvisoria. Una volta avviata la produzione in serie, si prevedeva di sostituirlo con il più potente 75/34 Mod. S.F. oppure con l’eccellente 65/64 Mod. 1939, un pezzo dalle ottime prestazioni balistiche per il quale, tuttavia, la Regia Marina aveva la priorità nelle consegne. La fattibilità dell’installazione del 65/64 sul carro celere sahariano appare peraltro dubbia, considerata la conformazione tronco-piramidale della torretta, ancora meno spaziosa di quella dell’M14/41.
Corazzatura
La protezione era ottenuta mediante piastre di acciaio rivettate. I progettisti avevano cercato di inclinare le superfici corazzate per aumentarne l’efficacia balistica; in particolare, la grande piastra frontale rettangolare presentava un’inclinazione di 60° rispetto alla verticale.
Lo spessore massimo della corazzatura era di 50 mm, quello minimo di 30 mm. Non sono noti i valori esatti di protezione per le singole parti del veicolo (scafo, sovrastruttura, torretta).
Produzione
La produzione in serie del carro armato celere sahariano era stata affidata al gruppo industriale Fiat-Ansaldo, ma non fu mai avviata. Le cause di questo fallimento sono molteplici e riconducibili a diversi fattori.
In primo luogo, l’incertezza e l’inadeguatezza dello Stato Maggiore del Regio Esercito, che tendeva a richiedere continue modifiche al progetto senza mai giungere a una configurazione definitiva. In secondo luogo, le trattative in corso con la Germania nazista per la produzione su licenza in Italia di alcuni carri armati tedeschi, che distoglievano risorse e attenzione dal progetto nazionale.
Un ruolo significativo fu giocato anche dal “duopolio” rappresentato dal gruppo FIAT-Ansaldo. Le aziende erano interessate a mantenere la produzione dei mezzi già esistenti, che garantivano guadagni sicuri, evitando i costi di adattamento delle linee di assemblaggio necessari per un veicolo completamente nuovo.
Inoltre, erano contemporaneamente allo studio diversi altri progetti, tra cui i semoventi armati con pezzi da 75 mm e il carro armato pesante P26/40, che competevano per le limitate risorse industriali disponibili.
Secondo alcune fonti, i lavori sul carro celere sahariano furono addirittura utilizzati strumentalmente per scoraggiare l’importazione e la produzione su licenza dello Škoda S-II-c (ribattezzato T-21 dai tedeschi dopo l’occupazione della Cecoslovacchia), che aveva battuto l’M13/40 in alcune prove comparative.
Una fonte riporta che la produzione consisté in “prototipi” al plurale, senza tuttavia specificarne il numero. La maggior parte della documentazione indica invece l’esistenza di un solo prototipo.
Impiego operativo
Il carro armato celere sahariano non ebbe mai impiego operativo. Il prototipo fu accantonato nell’inverno-primavera 1943, subito dopo essere stato accettato in linea di principio dall’Esercito, quando ormai la campagna d’Africa era irrimediabilmente perduta.
In seguito all’armistizio di Cassibile dell’8 settembre 1943 e alla conseguente operazione Achse (l’occupazione tedesca dell’Italia), il prototipo fu confiscato dalla Wehrmacht. Non è noto cosa ne sia stato successivamente: il veicolo andò perduto nei convulsi giorni seguenti la capitolazione italiana e non se ne hanno più tracce.
Varianti
- Carro armato celere sahariano (M16/43): unica versione realizzata, rimasta allo stadio di prototipo. Armata con un cannone da 47/40 mm e due mitragliatrici Breda da 8 mm, era caratterizzata da sospensioni derivate dal sistema Christie e da un profilo ribassato ispirato ai carri incrociatori britannici. Non entrò mai in produzione di serie né fu impiegata in combattimento.
Informazioni aggiuntive
- Nome e tipo: Carro armato celere sahariano (M16/43)
- Anno: 1941
- Produzione: 1
- Motore:
FIAT-SPA 228 a 8 cilindri a V, alimentato a benzina
- Potenza motore (hp): 250/275
- Lunghezza m.: 5.80
- Larghezza m.: 2.80
- Altezza m.: 2
- Peso t.: 15
- Velocità su strada Km/h: 60
- Autonomia Km.: 300
- Armamento:
1 cannone Mod. 1938 da 47 mm, 2 mitragliatrici Breda Mod. 38 da 8 mm
- Corazzatura max mm.: 50
- Equipaggio: 4
- Bibliografia – Riferimenti:
