Kawasaki Ki-61 Hien

di redazione
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Il Kawasaki Ki-61 Hien (飛燕), che in giapponese significa “rondine”, era un aereo talmente diverso dagli altri di produzione giapponese che quando gli alleati lo videro per la prima volta pensarono di trovarsi di fronte alla copia di una macchina tedesca o italiana.
La seconda ipotesi era quella meno lontana dalla realtà in quanto il Giappone, così come era stato per l’Italia, aveva ottenuto dalla Germania la licenza di produzione dell’ottimo motore DB 601 raffreddato a liquido ed aveva di conseguenza avuto la possibilità di progettare e costruire il suo primo caccia con motore in linea.

L’aereo era stato voluto dalle autorità nipponiche, impressionate dai successi ottenuti in Europa dai caccia con motore in linea e non essendo disponibile un motore di questo tipo di progetto nazionale si chiese aiuto agli alleati.

Il progetto era ottimo e l’aereo si rivelò un osso duro per i caccia americani; tuttavia non era privo di problemi, derivanti sostanzialmente proprio dalla scarsa affidabilità del motore, evidentemente una copia non perfettamente riuscita.

Il Kawasaki Ki 61 Hien è un monoplano monomotore ad ala bassa, carrello retrattile propulso da una versione del motore tedesco Daimler Benz 601 prodotta su licenza.

L’intelligence militare alleata rimase così spiazzata dalla linea del Ki-61 che gli assegnò il nome in codice “Tony”, richiamando la presunta origine italiana dell’aereo che ricordava i Macchi C.202 Folgore. Il capitano dell’USAAF C. Ross Greening, durante la famosa incursione Doolittle su Tokyo del 18 aprile 1942, lo aveva addirittura identificato come un Bf 109 tedesco, tanto da assegnargli inizialmente il nome in codice “Mike”.

Questa confusione non era priva di fondamento: il Ki-61 era effettivamente sviluppato attorno al motore Kawasaki Ha-40, una versione prodotta su licenza del Daimler-Benz DB 601, lo stesso propulsore che equipaggiava i Messerschmitt tedeschi e che aveva influenzato anche la progettazione degli italiani Macchi C.202.

Kawasaki Ki-61 Hien con serbatoi sganciabili
Kawasaki Ki-61 Hien con serbatoi sganciabili

Origini del progetto

La storia del “Tony” inizia sul finire del 1939, quando il Koku Hombu (Comando Aereo dell’Esercito Imperiale Giapponese) emise un bando per due nuovi caccia da costruire attorno al motore Daimler-Benz DB 601. L’ingegnere Takeo Doi, affiancato dal suo vice Shin Owada, si mise all’opera per rispondere a questa sfida. Il risultato fu un progetto duplice: il Ki-60, concepito come intercettore pesantemente armato destinato alla protezione territoriale, e il Ki-61, pensato invece come caccia più leggero e versatile per missioni offensive.

La priorità iniziale fu data al Ki-60, che volò per la prima volta nell’aprile 1941, mentre il lavoro sul Ki-61 non iniziò prima del dicembre 1940. L’esperienza accumulata con il primo progetto permise ai progettisti di apportare significativi miglioramenti al Ki-61, che fece il suo primo volo nei cieli di Kagamigahara nel dicembre 1941, esattamente nello stesso periodo in cui il Giappone sferrava l’attacco a Pearl Harbor.

Caratteristiche tecnicne

Per gli standard giapponesi dell’epoca, il Ki-61 rappresentava una rivoluzione costruttiva. La sua fusoliera semi-monoscocca interamente metallica, caratterizzata da una sezione trasversale ovale che si rastremava in una forma semi-triangolare dietro l’abitacolo, offriva una resistenza strutturale superiore rispetto ai modelli precedenti.

Un aspetto peculiare del velivolo riguardava i supporti del motore, costruiti come parte integrante della fusoliera anteriore. Questa soluzione, se da un lato garantiva maggiore rigidità strutturale, dall’altro complicava notevolmente le operazioni di manutenzione, poiché per l’ispezione o la sostituzione del propulsore era possibile rimuovere solo i pannelli superiore e inferiore della cappottatura, mentre quelli laterali rimanevano fissi.

La presa d’aria del compressore, di forma rettangolare rastremata, era posizionata sul lato sinistro della cappottatura. L’armamento principale consisteva in due mitragliatrici Ho-103 da 12,7 mm sincronizzate, disposte in configurazione sfalsata appena sopra e dietro il motore, con le culatte che sporgevano parzialmente nell’abitacolo. Queste armi, pur essendo leggere per il loro calibro (circa 23 kg ciascuna) e dotate di proiettili non particolarmente potenti, compensavano questa limitazione con un’elevata cadenza di tiro. La capacità di munizioni era tuttavia limitata a circa 250 colpi per arma.

Un elemento avanzato per l’epoca era rappresentato dal serbatoio di carburante autostagnante da 165 litri, posizionato dietro il sedile del pilota. Il parabrezza blindato e una piastra corazzata da 13 mm alle spalle del pilota fornivano una protezione superiore rispetto a molti caccia giapponesi contemporanei. Il sistema di raffreddamento, necessario per il motore a liquido, era alloggiato in posizione ventrale sotto la fusoliera e il bordo d’uscita dell’ala, protetto da una carenatura rettangolare con un grande flap di uscita regolabile.

Le ali, dalla forma elegantemente rastremata, presentavano un rapporto di aspetto di 7,2 con una superficie complessiva di 20 metri quadrati. La struttura interna si basava su tre longheroni: un longherone principale a traliccio Warren e due ausiliari. Il longherone posteriore sosteneva i flap divisi e gli alettoni a corda stretta, mentre quello anteriore incorporava i punti di rotazione del carrello d’atterraggio, caratterizzato da una carreggiata insolitamente ampia per un caccia giapponese: ben 4 metri.

Ciascuna ala ospitava un serbatoio di carburante parzialmente autostagnante da 190 litri, posizionato dietro il longherone principale. L’armamento alare, inizialmente costituito da mitragliatrici Tipo 89 da 7,7 mm, era alloggiato in apposite baie situate anch’esse dietro il longherone principale.

Sviluppo

Quando il primo prototipo del Ki-61 prese il volo, l’accoglienza tra gli ufficiali giapponesi fu contrastante. I piloti collaudatori ne apprezzarono immediatamente i serbatoi autostagnanti, l’armamento migliorato e le notevoli prestazioni in picchiata, ma molti ufficiali superiori del Koku Hombu guardarono con scetticismo al suo carico alare di 146,3 kg/m² per un peso totale di 2.950 kg.

La dottrina di combattimento dell’aviazione giapponese era ancora fortemente ancorata al concetto di caccia leggero, estremamente manovrabile e con armamento limitato, come il Nakajima Ki-43 “Oscar” che, con un carico alare di appena 92,6 kg/m², rappresentava il paradigma del caccia nipponico. Il concetto di un velivolo più pesante, meno agile ma meglio protetto e armato, incontrava quindi resistenze significative.

Per vincere queste perplessità, la Kawasaki organizzò una competizione diretta tra due prototipi Ki-61 e una serie di caccia contemporanei: il Nakajima Ki-43-I, un Nakajima Ki-44-I di pre-produzione, un LaGG-3 sovietico pilotato da un disertore, un Messerschmitt Bf 109E-7 e un Curtiss P-40E Warhawk catturato. Il confronto diede risultati sorprendenti: il Ki-61 si rivelò il più veloce di tutti i concorrenti e, pur essendo inferiore al Ki-43 in termini di manovrabilità, dimostrò capacità complessive superiori agli altri modelli.

Il motore

Se la cellula del Ki-61 rappresentava un indubbio passo avanti nella tecnologia aeronautica giapponese, lo stesso non si poteva dire del suo propulsore. Il motore Kawasaki Ha-40, versione prodotta su licenza del Daimler-Benz DB 601, si rivelò il vero tallone d’Achille dell’intero progetto.

Il DB-601 era un motore estremamente sofisticato, che richiedeva lavorazioni di precisione e materiali di alta qualità. La versione giapponese Ha-40, più leggera di circa 30 kg rispetto all’originale tedesco, necessitava di standard produttivi ancora più elevati. Raggiungerli si rivelò un’impresa ardua per l’industria nipponica, alle prese con crescenti difficoltà nell’approvvigionamento di materiali di qualità, carburanti raffinati e lubrificanti adeguati.

I problemi si acuirono nelle operazioni nel Pacifico meridionale, dove le elevate temperature causavano frequenti malfunzionamenti alle pompe del carburante. A complicare ulteriormente la situazione contribuiva l’impossibilità di effettuare revisioni complete dei motori direttamente nei teatri operativi: i propulsori danneggiati dovevano essere spediti al deposito di manutenzione più vicino a Halmahera, nell’Indonesia orientale, con conseguenti ritardi e complicazioni logistiche.

Quando i giapponesi tentarono di aumentare la potenza disponibile sviluppando il motore Kawasaki Ha-140 (equivalente del più potente DB-605 tedesco) per equipaggiare la versione migliorata Ki-61-II, i problemi di affidabilità si moltiplicarono. Circa la metà del primo lotto di Ha-140 consegnati dovette essere rispedita in fabbrica per essere ricostruita.

Il colpo di grazia giunse il 19 gennaio 1945, quando un bombardamento americano distrusse la fabbrica di motori di Akashi, nella prefettura di Hyōgo. Questo evento catastrofico lasciò 275 cellule Ki-61-II-KAI senza propulsori, costringendo i tecnici giapponesi a una soluzione d’emergenza: la conversione di questi aerei per utilizzare il motore radiale Mitsubishi Ha-112-II, dando origine al Ki-100. Quest’ultimo, pur risolvendo i problemi di affidabilità che avevano afflitto l’Ha-140, presentava comunque un grave punto debole: la mancanza di potenza ad alta quota, che limitava la sua capacità di intercettare i bombardieri B-29 Superfortress americani.

Kawasaki Ki-61 Hien
Kawasaki Ki-61 Hien

Impiego operativo

Il battesimo del fuoco per il Ki-61 avvenne nei cieli della Nuova Guinea all’inizio del 1943. I primi esemplari furono assegnati a un’unità di addestramento speciale, il 23° Chutai, seguiti dal primo Sentai (Gruppo Aereo) completamente equipaggiato con l’Hien: il 68° di stanza a Wewak. Poco dopo, anche il 78° Sentai di Rabaul ricevette il nuovo caccia.

L’impiego operativo in queste zone remote e caratterizzate da condizioni climatiche proibitive rivelò immediatamente i limiti logistici del velivolo. Le giungle impenetrabili, il clima tropicale e la cronica mancanza di pezzi di ricambio minarono rapidamente l’efficienza sia degli uomini che delle macchine. Essendo un aereo appena introdotto in servizio e con un’architettura inusuale per gli standard giapponesi, il Ki-61 soffriva inevitabilmente di problemi di gioventù, ulteriormente esacerbati dalle difficoltà manutentive in prima linea.

Le perdite non dovute al combattimento raggiunsero livelli allarmanti. Un esempio emblematico fu il trasferimento del 78° Sentai da Truk a Rabaul, durante il quale andarono perduti ben 18 dei 30 Ki-61 dell’unità, principalmente a causa di problemi meccanici e difficoltà di navigazione.

Nonostante queste criticità, il Ki-61 riuscì comunque a farsi rispettare nei cieli del Pacifico. I piloti alleati dovettero rapidamente rivedere le loro tattiche quando scoprirono che, a differenza di quanto accadeva con i più leggeri caccia giapponesi, non potevano più contare sulla superiorità in picchiata per sfuggire al nuovo avversario. Il generale George Kenney, comandante delle forze aeree alleate nel Pacifico sud-occidentale, trovò i suoi Curtiss P-40 completamente surclassati dal nuovo caccia nipponico e richiese insistentemente l’invio di più Lockheed P-38 Lightning per riequilibrare le forze in campo.

Tuttavia, il vantaggio tecnologico offerto dal Ki-61 non fu sufficiente a compensare il crescente divario numerico che si andava creando nei cieli del Pacifico. La sempre maggiore presenza di bombardieri alleati, unita a sistemi di difesa antiaerea giapponesi inadeguati, impose perdite devastanti alle formazioni nipponiche. Durante i soli attacchi del 17-21 agosto 1943, circa 174 dei 200 aerei giapponesi di base nell’area di Wewak andarono perduti. Alla fine della campagna, quasi 2.000 velivoli giapponesi erano stati distrutti, in gran parte da formazioni di B-24 Liberator e B-25 Mitchell armati con micidiali bombe a frammentazione.

Armamento

Una delle caratteristiche più apprezzate del Ki-61 era la sua capacità di accogliere un armamento via via più pesante, necessario per fronteggiare la crescente minaccia rappresentata dai bombardieri alleati.

Il prototipo originale era equipaggiato con due mitragliatrici Ho-103 da 12,7 mm nel muso e due Type 89 da 7,7 mm nelle ali, con un peso a vuoto di 2.238 kg e un peso massimo di 2.950 kg. La versione base di produzione Ki-61-I montava quattro mitragliatrici Ho-103 da 12,7 mm, con un conseguente aumento di peso fino a 3.130 kg.

L’esigenza di disporre di un potere d’arresto ancora superiore contro i robusti bombardieri americani portò allo sviluppo della versione Ki-61-KAI, armata con due mitragliatrici Ho-103 da 12,7 mm e due cannoni da 20 mm, con un peso a vuoto di 2.630 kg e un peso massimo di 3.470 kg.

Questo incremento nell’armamento, se da un lato garantiva una maggiore capacità offensiva, dall’altro comportava un inevitabile degrado delle prestazioni e dell’agilità. Nonostante questo compromesso, il Ki-61 manteneva comunque una velocità massima rispettabile di 580 km/h, che gli consentiva di competere con la maggior parte dei caccia alleati contemporanei.

I reparti Tokkotai

Con l’aggravarsi della situazione bellica per il Giappone, anche il Ki-61 fu coinvolto nella disperata strategia dei reparti suicidi Tokkotai (più noti in Occidente come kamikaze). L’episodio che segnò l’inizio di questa tragica pagina risale alla fine di agosto 1944, quando B-29 provenienti da basi in Cina tentarono di bombardare le acciaierie di Yawata.

In quell’occasione, il sergente Shigeo Nobe del 4° Sentai si lanciò deliberatamente con il suo Kawasaki Ki-45 contro un B-29; i detriti dell’esplosione danneggiarono gravemente un secondo bombardiere, che precipitò a sua volta. Questo “successo” spinse altri piloti a considerare lo speronamento come una tattica efficace contro i possenti quadrimotori americani.

Il 7 novembre 1944, questa pratica venne ufficializzata quando il comandante della 10ª Hiko Shidan (divisione aerea) creò specifiche unità di speronamento dedicate a contrastare i B-29 ad alta quota. Gli aerei destinati a queste missioni venivano alleggeriti, eliminando parte dell’armamento di fusoliera e i sistemi di protezione, per consentire loro di raggiungere le elevate altitudini operative dei bombardieri americani.

All’interno della 10ª Hiko Shidan, il 244° Hiko Sentai guidato dal capitano Takashi Fujita organizzò un reparto speciale denominato “Hagakure-Tai” (dal nome dell’omonimo codice samurai), composto da volontari provenienti dalle tre squadriglie dell’unità: il 1° Chutai “Soyokaze”, il 2° Chutai “Toppu” e il 3° Chutai “Mikazuki”.

A guidare questo gruppo di elite fu selezionato il primo tenente Toru Shinomiya. Il 3 dicembre 1944, insieme ai sergenti Masao Itagaki e Matsumi Nakano, intercettò una formazione di B-29. Shinomiya riuscì a speronare un bombardiere e, nonostante il suo Ki-61 avesse perso gran parte dell’ala esterna sinistra, compì il miracolo di riportare l’aereo danneggiato alla base. Itagaki, dopo aver attaccato un altro B-29, fu costretto a lanciarsi con il paracadute, mentre Nakano speronò e danneggiò il “Long Distance” del 498° Gruppo Bombardieri americano, riuscendo poi ad atterrare con il suo Ki-61 gravemente danneggiato in un campo.

Questi tre piloti ottennero una fama immediata, diventando i primi a ricevere il Bukosho, l’equivalente giapponese della Victoria Cross britannica o della Medal of Honor americana. Questa onorificenza era stata istituita il 7 dicembre 1944 con un editto imperiale dell’imperatore Hirohito e venne assegnata in totale a 89 aviatori, la maggior parte dei quali si era distinta in azioni contro i B-29.

L’unità di speronamento, inizialmente mantenuta segreta, venne ufficialmente rivelata dopo questi successi e ribattezzata “Shinten Seiku Tai” (“Distaccamento di Attacco con il Corpo”) dal Quartier Generale della Difesa. Il sergente Itagaki si distinse particolarmente in questa tragica forma di combattimento: il 27 gennaio 1945 sopravvisse a un secondo attacco di speronamento contro un B-29, riuscendo nuovamente a lanciarsi con il paracadute, e ricevette un secondo Bukosho. Fu uno dei soli due aviatori giapponesi a ottenere questa doppia onorificenza e, cosa ancora più straordinaria, sopravvisse alla guerra.

Questi coraggiosi piloti non godevano di alcun privilegio: erano considerati uomini già condannati a morte e dovevano continuare le loro pericolose missioni fino al sacrificio finale. Venivano celebrati al pari dei piloti Tokkotai che si lanciavano deliberatamente con i loro aerei carichi di esplosivo contro le navi alleate, ma con una differenza fondamentale: mentre questi ultimi affrontavano una morte certa in un’unica missione, i piloti dell’unità Hagakure dovevano ripetutamente sfidare la sorte in molteplici attacchi, aumentando esponenzialmente le probabilità di non fare ritorno.

Ki-61 del Cap Teruhiko Kobayashi
Ki-61 del Cap Teruhiko Kobayashi

Epilogo

Con la resa del Giappone nell’agosto 1945, la carriera operativa del Ki-61 Hien giunse al termine. In poco più di due anni di servizio attivo, questo caccia aveva scritto pagine significative nella storia dell’aviazione militare giapponese, riuscendo a guadagnarsi il rispetto degli avversari nonostante le difficoltà tecniche e logistiche che ne avevano limitato il potenziale.

Dei circa 3.000 esemplari prodotti, pochissimi sopravvissero alla guerra. La maggior parte andò perduta in combattimento o venne distrutta a terra nei devastanti bombardamenti alleati che colpirono il Giappone negli ultimi mesi del conflitto. Altri furono deliberatamente demoliti dalle forze di occupazione americane nel dopoguerra. Solo una manciata di esemplari si è conservata fino ai giorni nostri, prezioso testimone di un’epoca in cui il “Tony” sfidava le superfortezze volanti nei cieli del Pacifico.

Principali varianti del Kawasaki Ki-61 Hien

  • Ki-61: prototipo costruito in 12 esemplari
  • Ki-61-I-Ko: priva versione in produzione, dotata di carrello completamente retrattile, due mitragliatrici Type 89 da 7.7mm di calibro nelle ali e due mitragliatrici Ho-103 da 12.7mm sulla capottatura del motore sincronizzate per sparare attraverso il disco dell’elica; questa versione poteva trasportare un serbatoio di carburante supplementare sganciabile da 151 litri oppure una bomba
  • Ki-61-I-Otsu: seconda versione in produzione, introduceva alcune modifiche tra cui una al meccanismo di ritrazione del ruotino di coda che si era dimostrato poco affidabile; le due mitragliatrici leggere alloggiate nelle ali furono sostituite da altre due Ha-103 da 12.7mm
  • Ki-61-I-Hei: versione in produzione insieme alla Otsu, l’unica differenza era nell’armamento alare che nella Hei prevedeva due cannoni Mauser MG 151/20 da 20mm
  • Ki-61-I-Tei: versione da caccia pura armata con due mitragliatrici Ho-103 da 12.7mm sincronizzate per sparare attraverso il disco dell’elica e due cannoni Ho-5 da 20mm nelle ali
  • Ki-61-I-KAId: variante da intercettazione armata con due mitragliatrici da 12.7mm e due cannoni da 30mm nello spessore alare
  • Ki-61-I-w.c.e.s.: versione sperimentale dotata di impianto di evaporazione simile a quello dell’Heinkel 11, era più veloce del Ki-61 standard riuscendo a raggiungere i 630 Km/h in volo orizzontale
  • Ki-61-II: prototipo con motore Kawasaki Ha-140 da 1.500 hp, volò per la prima volta nel dicembre del 1943
  • Ki-61-II-KAI: versione in pre-produzione in cui, a seguito di problemi di stabilità, si tornò a usare l’ala del Ki-61-I-Tei, ne vennero costruiti 30 esemplari
  • Ki-61-II-KAIa: versione armata con due mitragliatrici da 12.7 nelle ali e 2 cannoni da 20mm in fusoliera
  • Ki-61-II-KAIb: versione armata con 4 cannoni da 20mm
  • Ki-61-III: prototipo in cui furono introdotte alcune modifiche alla parte posteriore della fusoliera e all’abitacolo, successivamente utilizzate nello sviluppo del Kawasaki Ki-100

Informazioni aggiuntive

  • Nazione: Giappone
  • Modello: Kawasaki Ki-61-I Hien
  • Costruttore: Kawasaki Kokuki Kogyo K,K,
  • Tipo:
  • Motore:

    Kawasaki Ha-40, a 12 cilindri a V, raffreddato a liquido, da 1.175 HP

  • Anno: 1943
  • Apertura alare m.: 12.00
  • Lunghezza m.: 8.75
  • Altezza m.: 3.70
  • Peso al decollo Kg.: 2.950
  • Velocità massima Km/h: 592 a 4.860 m.
  • Quota massima operativa m.: 11.600
  • Autonomia Km: 1.700 
  • Armamento difensivo:

    4 mitragliatrici

  • Equipaggio: 1
  • Bibliografia – Riferimenti:
       

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