Soemu Toyoda (豊田 副武) nacque il 22 maggio 1885 nella prefettura di Oita e morì a Tokyo il 22 settembre 1957. Ammiraglio della Marina imperiale giapponese, la sua figura incarna uno dei paradossi più stretti della storia militare nipponica: oppositore privato della guerra contro gli Stati Uniti nei primi anni Quaranta, divenne poi il più intransigente oltranzista pubblico nel Supremo Consiglio che dovette decidere la resa nell’estate del 1945.
Brillante amministratore e stimato burocrate navale, Toyoda costruì la propria carriera attraverso incarichi di stato maggiore e posizioni ministeriali, distinguendosi per competenza organizzativa e rigore professionale. Nel maggio 1944, pur senza alcuna esperienza di comando operativo in tempo di guerra, fu nominato alla guida della Flotta Combinata dopo la morte dell’ammiraglio Koga. Da questa posizione pianificò tre grandi operazioni che si conclusero tutte in catastrofi: la battaglia del Mare delle Filippine, la battaglia del Golfo di Leyte e la missione suicida della corazzata Yamato.
Promosso capo di stato maggiore della marina nel maggio 1945, entrò nel ristretto gruppo che governava il Giappone in guerra. Qui tradì le aspettative di coloro che lo ritenevano favorevole alla pace, schierandosi invece con i generali dell’esercito che rifiutavano qualsiasi tipo di capitolazione. Si oppose ferocemente alla resa anche dopo i bombardamenti atomici, cedendo solo quando l’imperatore Hirohito impose personalmente la fine del conflitto. Processato per crimini di guerra a Tokyo, fu l’unico tra ventotto imputati a essere completamente assolto, verdetto che rimane controverso.
Formazione
Il giovane Toyoda entrò nell’Accademia navale di Etajima nella 33ª classe, diplomandosi il 28 novembre 1905 al ventiseisimo posto su 171 allievi. Ricevuto il brevetto di aspirante guardiamarina, iniziò il consueto percorso di addestramento su diverse unità: l’incrociatore Hashidate, l’incrociatore corazzato Nisshin, il cacciatorpediniere Asatsuyu. La sua carriera prese però presto una direzione diversa da quella dei comandanti operativi.
Dal luglio 1908 intraprese la specializzazione in artiglieria navale, frequentando i corsi presso la scuola dedicata. Promosso sottotenente di vascello nel settembre dello stesso anno, completò anche la formazione silurista prima di acquisire esperienza pratica nella 14ª Divisione torpediniere per oltre un anno. Il 1º dicembre 1910 iniziò gli studi al Collegio navale, l’istituzione d’élite che formava gli ufficiali di stato maggiore. Divenuto tenente di vascello, prestò servizio per due anni sull’incrociatore da battaglia Kurama, nave ammiraglia della flotta.
Nel dicembre 1913 cominciò la carriera di istruttore alla Scuola d’artiglieria navale, ruolo che mantenne per due anni. Contemporaneamente riprese gli studi al Collegio navale nel corso superiore. Fu promosso capitano di corvetta nell’aprile 1917, nella fase conclusiva della formazione, e si diplomò a fine anno conseguendo il massimo dei voti. Questo risultato eccellente aprì le porte alle posizioni più prestigiose.
Il 1º dicembre 1917 ricevette la nomina a aiutante di campo e consigliere dell’ammiraglio Motaro Yoshimatsu, incarico che mantenne per due anni. Parallelamente lavorò come attendente presso il Ministero della marina e presso il Comando scuole navali. Questa esperienza alle dirette dipendenze di un ammiraglio gli permise di comprendere i meccanismi del potere nella marina imperiale.
Nel dicembre 1919 fu destinato alla missione diplomatica giapponese nel Regno Unito come addetto militare navale. Durante questo soggiorno all’estero studiò la lingua inglese, anche se – paradossalmente per un diplomatico – imparò a comprenderla ma non a parlarla fluentemente. Promosso capitano di fregata nel dicembre 1921, rientrò in patria nell’agosto 1922.
Carriera amministrativa
Al ritorno in Giappone, Toyoda alternò brevi periodi in mare a lunghi incarichi burocratici. Dopo pochi mesi come vicecomandante dell’incrociatore leggero Kuma, nell’aprile 1923 fu assegnato al Distretto navale di Yokosuka. Contemporaneamente iniziò a lavorare all’Ufficio Affari navali del Ministero e fu integrato nello stato maggiore del distretto stesso. Rimase in questi ruoli amministrativi per oltre due anni.
Promosso capitano di vascello nel dicembre 1925, ricevette la nomina a istruttore al Collegio navale e temporaneamente ad attendente presso lo stato maggiore generale. Il 1º novembre 1926 gli fu affidato il suo primo vero comando: l’incrociatore leggero Yura, che guidò a lungo dimostrando competenza nella gestione operativa. Passò poi alla guida della 7ª Divisione sommergibili prima di tornare, nel dicembre 1928, agli incarichi ministeriali come Capo della Sezione 1 dell’Ufficio istruzione.
Come responsabile di unità amministrative di rilievo, Toyoda si costruì rapidamente una solida reputazione. Era riconosciuto come ufficiale brillante, metodico e straordinariamente preciso. Tuttavia la sua personalità esigente e il rigore con cui trattava i sottoposti causarono non pochi problemi: furono registrati diversi casi di esaurimento nervoso tra coloro che lavoravano alle sue dipendenze, testimonianza del clima di pressione che sapeva creare.
Nel dicembre 1930 assunse il comando della nave da battaglia rimodernata Hyuga, esperienza che durò esattamente un anno. Promosso contrammiraglio nel dicembre 1931, tornò immediatamente agli incarichi di stato maggiore come Capo della sezione N2 dello stato maggiore generale. Nell’ottobre 1932 gli fu affidata anche la direzione della sezione N4, riattivata appositamente dopo anni di inattività.
Il settembre 1933 segnò un’ulteriore ascesa: divenne capo di stato maggiore sia della prestigiosa Flotta Combinata che della 1ª Flotta, posizione che mantenne per oltre un anno. Nel marzo 1935 fu nominato Direttore dell’Ufficio istruzione e nel novembre ricevette la promozione a viceammiraglio. A dicembre passò all’Ufficio Affari navali del Ministero, sempre come direttore.
Solo nell’ottobre 1937, dopo anni dedicati prevalentemente a ruoli burocratici, poté tornare al comando operativo: gli fu affidata la 4ª Flotta, dislocata nelle isole del mandato del Pacifico meridionale. Nel novembre 1938 assunse la guida della 2ª Flotta. Questi comandi rappresentarono l’apice della sua esperienza operativa in tempo di pace.
L’oppositore silenzioso: lontano dalla guerra
Il 1º settembre 1939 scoppiò la seconda guerra mondiale in Europa con l’invasione tedesca della Polonia. Nell’ottobre di quell’anno Toyoda tornò a far parte della Commissione ammiragli e assunse la direzione del Comando costruzioni navali, sostituendo il viceammiraglio Teijiro Toyoda. Gestì questo comando per quasi due anni, durante i quali l’Impero giapponese si avvicinò definitivamente alle potenze dell’Asse e considerò inevitabile lo scontro con le nazioni occidentali.
Nonostante fosse noto come nazionalista acceso e xenofobo viscerale, Toyoda condivideva in privato con l’ammiraglio Isoroku Yamamoto, allora comandante della Flotta Combinata, una profonda disapprovazione per l’idea di una guerra contro gli Stati Uniti. Entrambi ritenevano che un simile confronto avrebbe condotto il Giappone alla rovina. Questa posizione lo distanziava dalla maggioranza degli ufficiali superiori della marina e specialmente dall’esercito, dominato da elementi ultranazionalisti convinti della vittoria.
Nel settembre 1941 fu promosso al rango di ammiraglio e posto a comandare il 2º Distretto navale con quartier generale a Kure. Questa nomina, apparentemente prestigiosa, lo tenne di fatto lontano dal fronte quando scoppiò la guerra nel Pacifico dopo l’attacco di Pearl Harbor del 7 dicembre 1941. Mentre la Flotta Combinata di Yamamoto attraversava l’oceano raccogliendo vittoria dopo vittoria, Toyoda rimase ancorato alle sue responsabilità amministrative in patria.
Nel novembre 1942 fu nominato Consigliere navale presso lo stato maggiore generale, posizione che condivise con altri alti ufficiali in posizioni simili. Dall’aprile 1943 riprese il posto nella Commissione ammiragli e assunse il comando generale del Distretto navale di Yokosuka. Trascorsero così oltre tre anni completi senza che Toyoda avesse alcuna esperienza diretta di comando in guerra, mai esponendosi ai pericoli delle operazioni navali che stavano decimando i suoi colleghi.
Alla guida della Flotta Combinata
Il 31 marzo 1944 l’ammiraglio Mineichi Koga, successore di Yamamoto alla guida della Flotta Combinata, morì quando l’idrovolante che lo trasportava verso le Filippine precipitò in mare durante una violenta tempesta. Si aprì una lotta tra le diverse fazioni interne alla Marina imperiale per la successione al comando più prestigioso e importante.
Il 3 maggio 1944, con sorpresa generale, Toyoda fu scelto per il ruolo vacante. Iniziò a operare ufficialmente dal 5 maggio, quando la morte di Koga fu resa pubblica. La notizia fu accolta con perplessità e sconcerto da numerosi alti ufficiali: Toyoda non aveva mai controllato forze navali in guerra, non possedeva esperienza di combattimento, non aveva mai pianificato operazioni offensive o difensive sotto il fuoco nemico. La sua nomina rappresentava una scommessa rischiosa in un momento in cui la marina giapponese affrontava la pressione crescente della controffensiva americana.
Il peso dell’eredità era schiacciante. Doveva seguire le orme di Yamamoto, stratega geniale e comandante carismatico caduto in un’imboscata aerea, e di Koga, che aveva tentato di riorganizzare le forze dopo i disastri del 1942-1943. Toyoda si trovava ora alla guida di una flotta ancora potente ma profondamente indebolita, con grave carenza di piloti esperti e risorse sempre più limitate.
Le tre catastrofi
Piano A-Go e la battaglia del Mare delle Filippine
Toyoda si mise immediatamente al lavoro per contrastare quella che appariva come la prossima mossa americana: un’offensiva sulle isole Marianne. Queste posizioni erano di importanza vitale perché fungevano da scudo alle Filippine e, se conquistate dagli americani, avrebbero permesso ai nuovi bombardieri quadrimotori B-29 Superfortress di colpire direttamente il territorio metropolitano giapponese in un solo viaggio.
Ereditò dal predecessore il cosiddetto Piano Z, che prevedeva di attirare la grande Quinta Flotta americana in una battaglia decisiva. Toyoda lo rimaneggiò trasformandolo nel piano A-Go, affidandone l’esecuzione al viceammiraglio Jisaburo Ozawa. Il concetto era ambizioso: la rinnovata flotta di portaerei giapponesi, denominata Dai-Ichi Kido Kantai (1ª Flotta mobile), avrebbe combattuto in coordinamento con i grossi calibri delle navi da battaglia e soprattutto con il massiccio supporto delle flottiglie aeree basate a terra sulle isole.
Il 12 giugno Toyoda ordinò l’attuazione dell’operazione. Ozawa disponeva di una forza di 55 navi tra cui nove portaerei e circa 470 velivoli imbarcati. Sulla carta il piano sembrava solido: l’aviazione terrestre avrebbe falcidiato le portaerei americane, permettendo poi alla flotta di Ozawa di completare la distruzione.
La realtà fu brutalmente diversa. Nei giorni precedenti la battaglia, le portaerei americane condussero bombardamenti sistematici e devastanti sulle basi aeree delle Marianne. L’aviazione di terra giapponese fu praticamente annientata prima ancora che la battaglia navale cominciasse. Quando il 19 giugno si combatté lo scontro decisivo a ovest dell’arcipelago, Ozawa si trovò completamente solo contro la schiacciante potenza della Task Force 58 americana.
Il risultato fu una catastrofe completa. Tre portaerei – Taiho, Hiyo e Shokaku – furono affondate. Quasi 320 velivoli furono abbattuti in quello che gli americani chiamarono sprezzantemente “il grande tiro al piccione delle Marianne”. Le guarnigioni sulle isole, private di qualsiasi supporto aeronavale e isolate, furono metodicamente eliminate nei mesi seguenti. Entro fine agosto tutte le posizioni strategicamente rilevanti erano in mani americane.
Piano Sho-Go e la battaglia del Golfo di Leyte
Toyoda non fu coinvolto nella crisi politica che portò alla caduta del Gabinetto Tojo verso la fine di luglio e mantenne il comando della Flotta Combinata. Poco dopo la disfatta delle Marianne, l’ammiraglio Mitsumasa Yonai, nuovo ministro della marina, lo avvicinò con una domanda diretta: credeva che la marina potesse sopravvivere fino alla fine dell’anno? Toyoda rispose che era assai improbabile.
Quella conversazione sembrava confermare l’appoggio di Toyoda per cercare una via d’uscita dal conflitto. Yonai tentò di persuadere gli altri ministri a esplorare possibilità di pace, ma fallì completamente. Toyoda, di fronte a questo fallimento, si rassegnò con un fatalismo quasi rassegnato a immolare ciò che restava delle forze navali giapponesi nella difesa delle Filippine, logicamente il prossimo obiettivo americano.
Come estrema e disperata speranza di ribaltare le sorti della guerra, concepì il piano Sho-Go. L’idea era complessa e richiedeva una coordinazione perfetta: la 3ª Flotta del viceammiraglio Ozawa, con le ultime portaerei superstiti, avrebbe fatto da esca attirando verso nord la potente Terza Flotta americana dell’ammiraglio Halsey. Nel frattempo, dalle ex Indie orientali olandesi sarebbe partita la 2ª Flotta del viceammiraglio Takeo Kurita con tutte le corazzate e gli incrociatori pesanti rimasti, che avrebbe attraversato lo Stretto di San Bernardino per piombare nel Golfo di Leyte e fare strage delle vulnerabili navi da trasporto e assalto anfibio.
Il piano prevedeva una terza componente: una squadra centrata sulla 2ª Divisione corazzate al comando del viceammiraglio Shoji Nishimura avrebbe forzato lo Stretto di Surigao da sud. All’ultimo momento questa fu affiancata dalla 5ª Flotta del viceammiraglio Kiyohide Shima, che dovette precipitarsi dalle acque di Formosa il 21 ottobre.
Il piano richiedeva massima coordinazione e tempismo perfetto. Invece quasi nulla andò secondo i piani. Toyoda stesso rimase bloccato a Formosa all’inizio dell’operazione a causa dei raid preliminari americani sull’isola, quindi fu il suo capo di stato maggiore, il viceammiraglio Ryunosuke Kusaka, a tenere le redini della situazione per i primi cruciali giorni.
Le partenze delle diverse flotte furono scaglionate nell’arco di molte ore del 17 ottobre, compromettendo sin dall’inizio la sincronizzazione. Kurita fu avvistato per primo dagli americani e il 24 ottobre perse la gigantesca corazzata Musashi sotto i colpi degli aerei imbarcati. Nella notte tra il 24 e il 25, Nishimura tentò di forzare lo Stretto di Surigao ma fu praticamente annientato in una battaglia notturna devastante.
Solo la mattina del 25 ottobre la formazione di Ozawa fu finalmente localizzata dagli americani, attirando l’attenzione di Halsey esattamente come previsto. Kurita poté quindi arrivare indisturbato nel Golfo di Leyte, dove si imbatté nel Task Group 77.4 composto da portaerei di scorta e cacciatorpediniere. Scoppiò uno scontro serrato ma il guardingo Kurita, dopo aver perso alcuni incrociatori e trovatosi in una situazione confusa, scelse di ritirarsi senza aver completato la missione.
L’affondamento di tutte le portaerei della forza settentrionale e la fuga di Ozawa, avvenuti quasi in contemporanea, decretarono il fallimento totale dell’operazione Sho-Go. La marina giapponese aveva perso le sue ultime portaerei di squadra, numerose altre navi e migliaia di uomini senza ottenere alcun risultato strategico significativo.
Operazione Ten-Go: il sacrificio della Yamato
Rientrato in Giappone dopo la catastrofe di Leyte, Toyoda prese atto del grave stato in cui versava ciò che restava della Flotta Combinata. Per diversi mesi non organizzò alcuna azione in forze, decisione che causò crescente insoddisfazione e pressioni da parte dei comandanti supremi dell’esercito imperiale. Questi esigevano che la marina facesse qualcosa, qualsiasi cosa, per contrastare l’avanzata americana.
A Toyoda ripugnava profondamente l’idea di inviare verso sicura distruzione, senza alcuna realistica contropartita, le residue forze navali. Si rifiutò più volte, resistendo alle pressioni. Ma quando marines e soldati americani sbarcarono sull’isola di Okinawa – parte del territorio metropolitano giapponese – nell’aprile 1945, la situazione divenne insostenibile.
Il 5 aprile, schiacciato dalle insistenze, Toyoda autorizzò quella che sarebbe diventata nota come operazione Ten-Go: una missione senza ritorno della 2ª Flotta centrata sulla corazzata Yamato. Il piano prevedeva che la nave, con una scorta di incrociatori e cacciatorpediniere, si dirigesse verso Okinawa con appena sufficiente carburante per il viaggio di andata. Avrebbe dovuto arenarsi sulle coste dell’isola e usare i suoi cannoni come artiglieria fissa in supporto dei difensori.
Fu un sacrificio inutile. La squadra fu intercettata nel primo pomeriggio del 7 aprile da centinaia di velivoli imbarcati americani. La Yamato, sottoposta a ondate successive di attacchi, fu crivellata da bombe e siluri fino a esplodere e affondare trascinando con sé la maggior parte dell’equipaggio. Diverse altre navi della scorta furono affondate. La missione non raggiunse nemmeno lontanamente Okinawa.
Paradossalmente questa disfatta non ebbe ripercussioni sulla carriera di Toyoda. Il 25 aprile ricevette anzi una nuova carica creata appositamente: Supremo comandante in capo della marina. Il 1º maggio gli fu affidata anche la guida della Flotta navale di scorta.
Supremo Consiglio di guerra
Il 29 maggio 1945 Toyoda lasciò i tre alti comandi navali e successe all’ammiraglio Oikawa come capo di stato maggiore della marina. Questa nomina lo rese automaticamente membro del Supremo Consiglio per la Direzione della guerra, l’organo ristretto che riuniva le massime cariche politico-militari del Giappone e che era presieduto formalmente dall’imperatore Hirohito.
Qui Toyoda compì quella che molti considerarono un tradimento delle aspettative. L’ammiraglio Yonai e altri che lo conoscevano si aspettavano che appoggiasse la ricerca della pace, considerando le sue posizioni private espresse negli anni precedenti. Invece Toyoda si schierò immediatamente e ferocemente con i generali Korechika Anami, ministro della guerra, e Yoshijiro Umezu, capo di stato maggiore dell’esercito, che si opponevano a qualsiasi tipo di pace che non fosse una vittoria totale o almeno un compromesso favorevole.
L’imperatore stesso era ormai deciso a porre fine alla guerra, come aveva dimostrato il 5 aprile nominando primo ministro l’ammiraglio Suzuki Kantaro, un anziano ufficiale a riposo dichiaratamente ostile al militarismo. Ma nel Supremo Consiglio Toyoda si comportò come il più intransigente degli oltranzisti.
Nella torrida giornata del 27 luglio 1945, Toyoda fu tra coloro che respinsero con sdegno l’ultimatum di Potsdam reso noto dagli Alleati il giorno precedente. Dopo estenuanti discussioni, il 28 luglio il Consiglio annunciò pubblicamente il rifiuto dell’ultimatum. La conseguenza fu terribile: il 6 agosto una bomba atomica distrusse Hiroshima, il 9 agosto una seconda devastò Nagasaki.
Anche di fronte a questa dimostrazione apocalittica di potenza, la cieca determinazione di Toyoda, Anami e Umezu non vacillò. Nelle riunioni del 9 agosto furono costretti ad accettare formalmente l’ultimatum, ma si opposero con ogni mezzo all’idea di una capitolazione incondizionata. Volevano condizioni, garanzie, salvaguardie per il sistema imperiale e per loro stessi.
Solo la sera del 14 agosto, dopo giorni di conferenze convulse e sempre più drammatiche, si rassegnarono quando l’imperatore Hirohito prese personalmente la decisione di stilare un rescritto imperiale annunciando la fine delle ostilità. Il documento fu diffuso via radio in tutta la nazione il 15 agosto, dopo che un tentativo di ammutinamento di giovani ufficiali dell’esercito fu represso. La guerra era finalmente conclusa, ma Toyoda aveva lottato fino all’ultimo istante per impedirlo.
Il processo e l’assoluzione
Dopo la resa formale del Giappone del 2 settembre 1945, lo stato maggiore generale della marina imperiale fu smantellato il 15 ottobre. Toyoda fu spostato presso l’ex Ministero della marina per coadiuvare le forze di occupazione nella smobilitazione delle forze giapponesi.
Il 13 e 14 novembre fu sottoposto a lunghi interrogatori da parte del contrammiraglio Ralph Ofstie e del maggior generale Anderson dell’esercito americano. Rispose a domande sull’enorme influenza dell’esercito imperiale nell’apparato politico giapponese, tema verso il quale si dimostrò particolarmente critico. Discusse dei piani strategici e dell’economia di guerra preparata in vista del confronto con gli Stati Uniti. Spiegò le reazioni del Supremo Consiglio di guerra di fronte alla prospettiva della resa incondizionata.
Gli interrogatori americani stilarono un breve profilo biografico nel quale Toyoda fu descritto come “ufficiale dalla spiccata intelligenza, ampiamente informato” e come “ottimo interlocutore per discutere di pianificazioni ad alto livello”. Il 30 novembre rassegnò le dimissioni da ogni incarico, consegnò la propria spada d’ordinanza in segno di resa personale e fu preso in custodia.
Nell’ottobre 1948 Toyoda fu tradotto davanti al Tribunale militare internazionale per l’Estremo Oriente, accusato di aver violato le leggi e gli usi di guerra. Più precisamente, l’accusa sosteneva che aveva “volontariamente e illegalmente trascurato e fallito nell’adempiere ai doveri di ufficiale” non impedendo al personale sotto il suo comando di commettere “abusi, maltrattamenti, torture, stupri, omicidi e atrocità” contro un elevato numero di prigionieri alleati e civili. Toyoda si dichiarò innocente di tutti i capi d’accusa.
Nel corso del lungo procedimento fu progressivamente scagionato dalle varie accuse. Quando nel novembre 1948 fu pronunciato il verdetto, Toyoda risultò essere l’unico tra i ventotto imputati a essere completamente assolto, senza ricevere alcun tipo di pena. Questo verdetto rimane controverso: alcuni storici ritengono che l’assoluzione fu corretta dal punto di vista strettamente legale, altri sostengono che la sua posizione di comando durante le operazioni più sanguinose avrebbe dovuto comportare una qualche forma di responsabilità.
Gli ultimi anni
Evitato il carcere, Toyoda si ritirò definitivamente a vita privata. Nel 1952 l’ammiraglio della flotta Chester Nimitz, suo vecchio avversario durante la guerra e uno dei comandanti che aveva inflitto le sconfitte più gravi alle forze da lui dirette, fece in modo che gli fosse riconsegnata la spada d’ordinanza che aveva consegnato nel 1945. Fu un gesto di rispetto militare tra vecchi nemici.
Soemu Toyoda morì il 22 settembre 1957 all’età di 72 anni, colpito da infarto miocardico acuto. Si spense discretamente, lontano dai riflettori, portando con sé i segreti delle sue contraddizioni.
Eredità storica
La figura di Soemu Toyoda incarna uno dei paradossi della storia militare giapponese della seconda guerra mondiale. Come si concilia l’oppositore privato della guerra del 1941 con l’oltranzista pubblico del 1945 che si oppose ferocemente alla resa anche dopo Hiroshima e Nagasaki? Come si spiega che un uomo che considerava la guerra contro gli Stati Uniti una follia destinata alla sconfitta abbia poi combattuto fino all’ultimo per impedire la capitolazione quando quella sconfitta si era materializzata?
Una possibile spiegazione risiede nella cultura militare giapponese e nel concetto di dovere. Toyoda poteva aver disapprovato privatamente la decisione di entrare in guerra, ma una volta presa quella decisione dal governo e dall’imperatore, il suo dovere di ufficiale era combattere con ogni mezzo disponibile. Arrendersi, dal suo punto di vista, non era semplicemente ammettere la sconfitta militare ma tradire secoli di tradizione e onore.
Come comandante operativo, il suo bilancio fu disastroso. Nominato alla guida della Flotta Combinata senza alcuna esperienza di combattimento, pianificò tre grandi operazioni che si conclusero tutte in catastrofi: il Mare delle Filippine costò tre portaerei e oltre 300 aerei, il Golfo di Leyte distrusse definitivamente la capacità offensiva della marina imperiale, l’operazione Ten-Go sacrificò inutilmente la Yamato e centinaia di vite. Si può argomentare che nel 1944-1945 qualsiasi comandante giapponese avrebbe subito sconfitte date le schiaccianti superiorità americana, ma l’assenza di esperienza di Toyoda probabilmente aggravò la situazione.
Come amministratore era invece riconosciuto come brillante, meticoloso e straordinariamente competente. La sua carriera fu costruita su decenni di servizio impeccabile negli stati maggiori e negli uffici ministeriali. Era il burocrate perfetto, l’organizzatore ideale. Ma la guerra moderna richiedeva comandanti capaci di prendere decisioni rapide sotto pressione, di adattarsi alle circostanze mutevoli, di ispirare gli uomini in battaglia. Queste non erano le sue qualità.
Informazioni aggiuntive
- Data di nascita: 22 Maggio 1885
- Data morte: 22 Settembre 1957
- Nazione: Giappone
- Tipo: Ammiraglio
- Forza armata: Marina
- Grado: Ammiraglio
- Bibliografia – Riferimenti:
