Il cinema giapponese contemporaneo sta riscrivendo la narrazione sui kamikaze della Seconda Guerra Mondiale, e lo fa con una sensibilità che va ben oltre gli stereotipi consolidati. Due film recenti hanno riportato al centro dell’attenzione la complessità umana di questi giovani piloti, offrendo una prospettiva che trova un riscontro straordinario nel saggio storico di Christian Kessler, “I kamikaze (1944-1945). Le loro storie, i loro ultimi scritti”, di cui abbiamo pubblicato una recensione dettagliata.
Due capolavori cinematografici per comprendere l’anima giapponese
“Eien no Zero” (2013), diretto da Takashi Yamazaki, e “Godzilla Minus One” (2023), dello stesso regista, rappresentano due approcci diversi ma complementari al tema dei kamikaze. Il primo è esplicitamente dedicato alla figura di un pilota che rifiuta la morte inutile, il secondo utilizza la metafora del kaiju per esplorare i traumi del dopoguerra giapponese attraverso gli occhi di un kamikaze “fallito”.
In “Eien no Zero“, il protagonista Kyuzo Miyabe viene inizialmente etichettato come “codardo” dai suoi commilitoni per il suo rifiuto di morire inutilmente. Il film, attraverso la ricerca condotta dai suoi nipoti nel presente, rivela gradualmente la sua umanità profonda e la sua determinazione a proteggere i giovani piloti sotto il suo comando. La pellicola ha generato polemiche per la sua rappresentazione “simpatetica” dei kamikaze, ma il regista ha respinto le accuse di glorificazione bellica, sottolineando come il film mostri “la guerra come una tragedia completa”.
“Godzilla Minus One” affronta il tema in modo più indiretto ma altrettanto potente. Il protagonista Koichi Shikishima è un pilota kamikaze che ha abbandonato la sua missione suicida, tornando a casa carico di sensi di colpa in un Giappone devastato. Quando Godzilla minaccia il paese, Shikishima trova una possibilità di redenzione, ma stavolta combattendo per la vita, non per la morte. Il film ha vinto l’Oscar per i migliori effetti speciali e ha commosso pubblico e critica per la sua rappresentazione della necessità di scegliere la vita anche nelle circostanze più disperate.
La convergenza con la ricerca storica
Ciò che rende questi film particolarmente significativi è la loro consonanza con le scoperte storiche documentate da Kessler nel suo saggio. Entrambi i registi, come lo storico francese, rifiutano la rappresentazione semplicistica dei kamikaze come fanatici accecati dall’ideologia. Mostrano invece giovani uomini – spesso poco più che ragazzi – intrappolati in una macchina bellica che trasformava la scelta in obbligo morale.
Il libro di Kessler rivela che l’85% dei kamikaze aveva almeno un’istruzione liceale, molti erano studenti universitari che leggevano Kant, Goethe, Rousseau, e persino Marx. Le loro ultime lettere, analizzate meticolosamente dall’autore, non mostrano odio verso il nemico né fanatismo religioso, ma piuttosto un’umanità struggente fatta di dubbi, rimpianti e un disperato attaccamento alla vita e agli affetti.
La poesia che spezza il cuore
Tra i documenti più toccanti raccolti da Kessler, una poesia in particolare cattura l’essenza tragica di questi giovani:
La vegetazione è così bella
Rischio quasi di dimenticare
Che oggi
Morirò.
Un cielo azzurro
Qualche rara nuvola bianca che fluttua
A Chiran nel mese di giugno
Le cicale cantano già
Annunciando l’estate.
Quell’emistichio straziante – “oggi morirò” – scritto da un giovane intelligente e colto, non da un fanatico illetterato, racchiude tutta la tragedia di una generazione sacrificata. È la stessa sensibilità che permea i film di Yamazaki: la capacità di vedere oltre la propaganda e la retorica per cogliere l’umanità universale di chi si trova intrappolato nella spirale della guerra.
Un nuovo sguardo sul passato
Tanto il cinema di Yamazaki quanto la ricerca di Kessler rappresentano un approccio maturo e complesso a uno dei capitoli più controversi della storia bellica giapponese. Entrambi rifiutano sia la demonizzazione che la glorificazione, preferendo la strada più difficile ma necessaria della comprensione storica e umana.
In un’epoca in cui il revisionismo storico rischia di semplificare narrazioni complesse, questi lavori ricordano che dietro ogni uniforme c’è un volto, dietro ogni missione un’esistenza spezzata, dietro ogni mito un dramma umano che merita di essere compreso nella sua interezza.
La convergenza tra cinema contemporaneo e ricerca storica rigorosa apre nuove possibilità di dialogo con il passato, permettendo alle generazioni presenti di confrontarsi con la memoria in modo più autentico e profondo. È questo il valore inestimabile di opere come quelle di Kessler e Yamazaki: restituire umanità là dove la storia aveva lasciato solo statiche e stereotipi.